Funny Girl – Nick Hornby

Una ragazza che “voleva solo andare in televisione a far ridere la gente”, Londra, gli anni ’60, una sitcom da diciassette milioni di spettatori, I love Lucy, Ray Galton e Alan Simpson, Till Death Us Do Part: se Nick Hornby avesse deciso a tavolino di “scrivere un libro scrivendo una sitcom”, mettendoci dentro tutto quello che poteva farmi piacere, non avrebbe saputo far di meglio (l’ho pensato ai tempi del calcio, ai tempi della musica, e ora con la tv: succederà ancora, anche se non riesco a immaginarmi come: lunga carriera a lui).

Funny Scrittore. Non so se Nick Hornby occupi il posto che merita nelle opinioni generali della gente-che-legge-i-libri. Anzi: no, gli scrittori-brillanti non hanno la stessa reputazione degli scrittori non-brillanti. Inutile che lo neghiamo, è così. È. Così. Vale per gli scrittori, per gli sceneggiatori, per i poeti. Al massimo, si potrà dire: che risate. Oppure: che libro divertente. Certo, far ridere davvero, leggendo un foglio stampato, è molto complicato (non riesco a stabilire se e quanto più complicato di, che ne so, far piangere), ma tu provaci a far dimenticare al lettore che sta leggendo un libro e che non si trova, come ha creduto per lunghe ed esaltanti mezzore, dentro la sitcom Barbara (e Jim), o che non sta facendo brainstorming nella stessa stanza con Sophie, l’attrice protagonista (e un attore quasi protagonista), due sceneggiatori, un produttore e altra gente a caso. Provaci.

HORNBY

Funny Scrittura. Dicevamo di cose complicate. Esempio: scrivere dialoghi. Per i tanti motivi che ci possono venire in mente adesso, qui, su due piedi. È già difficile scrivere dialoghi tra due personaggi, figuriamoci quando la situazione ne prevede cinque. Tutti assieme. In Funny Girl avviene spesso, e ogni volta, alla fine del capitolo, o di una stagione della sitcom al centro del racconto, vien voglia di fermarsi e dire: ma come ci è riuscito? E poi, automatismo: andare a cercare i torrent della sitcom, ma anche del making of, dei dietro le quinte e di tutto il resto. Solo che non esistono. Che vuol dire che non esistono?

Dentro quella cosa complicata dello scrivere dialoghi-multivoce, c’è un’altra cosa complicata-ma-apparentemente-semplice in cui eccelle Nick Hornby: non dire ciò che altri direbbero con un diluvio di parole (sentimenti, stati d’animo, frecce luminose). Al contrario: inserire differenti livelli di lettura, quanti ne bastano ogni volta. Si parla di qualcosa, si legge qualcos’altro e si capisce tutt’altro ancora. Poi è il lettore, se ritiene, a dover completare gli album. A volte è facile-facile, come nel caso di Tony e Bill, gli sceneggiatori conosciutisi in “una cella del comando di polizia di Aldershot la settimana prima del Natale del 1959” per dei fatti di cui parleranno solo in termini allusivi. Altre volte è malizioso-malizioso come nelle schermaglie amorose tra la protagonista Sophie e i suoi n-al-quadrato spasimanti, in cui nessuno nomina mai cose che sarebbe stato blasfemo nominare all’epoca. Ecco la parte veramente-divertente: riempire gli spazi vuoti. Dammi questo, mi renderai felice.

Barbara and Jim

Si era rifiutata di andare a trovare il padre in pericolo di vita perché per lei la sua carriera era più importante e il minimo che lui potesse fare era giudicarla. Evidentemente ti perdonavano tutto, se andavi in televisione.

Funny lettura.  Ma questo è anche un libro sullo scrivere-vero e lo scrivere-per-riciclo; sullo scrivere in coppia anche se coppia non si è (ma si potrebbe essere), sullo scrivere per qualcosa che “ci” fa schifo quindi per soldi e per qualcosa che “ci” piace quindi per hobby; sul recitare dentro e fuori dal palco; su come cambia nel tempo la prospettiva di “una ragazza che entra in una stanza piena di uomini”; sul delicato e complesso rapporto tra la creazione e la ricezione di un’opera. Stringendo, al centro: sulla tv, l’intrattenimento leggero e le reazioni che la gente ha di fronte alle due cose che di solito vengono associate, se non identificate tout court.

La gente, innanzitutto i nostri eroi: Sophie, che rimanda la visita al padre malato per girare la prima puntata della sitcom; Clive, l’attore che non accetta che il suo personaggio sia messo tra parentesi nel titolo, e che il suo personaggio faccia quelle che lui ritiene delle azioni deprecabili (tipo abbandonare il tetto coniugale: “cosa penseranno di me gli spettatori?”); e il produttore della sitcom, Dennis, che un giorno accetta di andare ospite a Fumo di Pipa, “un programma in cui uomini con la barba e gli occhiali parlavano con seccante sicurezza di Dio, della bomba H, di teatro e di musica classica”, per discutere con il critico Vernon che vuole stroncare Barbara (e Jim) (Vernon è anche l’amante della moglie di Dennis, ma questa è un’altra storia). Il confronto diventa ben presto un’anticipazione di quel di cui si discuterà nei decenni successivi: la Cultura Alta e la Cultura in teoria Bassa, la Capacità di Pensare e l’Intrattenimento Leggero che evidentemente te la toglie, il Servizio Pubblico Come Si Deve e il “contribuente che non dovrebbe pagare lo stipendio a Sophie”. Segue un vero e proprio incontro di pugilato on air, in cui Dennis (e la sitcom, e Nick Hornby, e anche il lettore) vincono su tutta la linea, non prima di un abbondante e salvifico (per chi fa questo mestiere, e non solo) tifo da stadio. E non importa se il trionfo arriva grazie a un colpo basso, un facile trucchetto, uno di quelli che, appunto, si usano in televisione. Non. Importa. 

Funny e basta. So cosa stai pensando. Parlare in termini elogiativi “dell’ultimo libro Nick Hornby” è vincere facile dopo che hai già vinto facile in svariate situazioni. Vincere facile come scrivere una storia ambientata a Londra, negli anni ’60, su una ragazza etc. E poi il libro pare già scritto per diventare un film (o una sitcom). E poi è pieno di ferri del mestiere. Lo so, lo so, e lo so. Ma quando le storie-di-gente-che-non-esistono continuano a generare ricordi anche dopo, passati i minuti, i giorni, gli anni, allora si meritano tutto il favore, l’affetto e altri sentimenti che certo non staremo qui a nominare. Non capita spesso, ogni tanto

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