La cavalcata dello spalatore di zollette di zucchero

“Ci sono tre regole da tenere a mente, Zerk, e sei a posto: quando non riesci ad andare fino in fondo a qualcosa, devi chiedere a Veyrenc; quando non riesci a fare qualcosa, devi chiedere a Retancourt; e quando non sai qualcosa, devi chiedere a Danglard” (Jean-Baptiste Adamsberg, La Cavalcata dei Morti)

 

 

Finisco di leggere il dodicesimo libro di Fred Vargas (o è il tredicesimo?), lo poso sul tavolo e faccio un sospiro, sommato a un sorriso beota che equivale più o meno a: Io questa donna mi par proprio di conoscerla, oramai.

 

Quella specie di presunzione-di-conoscenza che il lettore instaura con il proprio scrittore, effetto che a volte si scatena dopo poche righe, a volte nemmeno dopo cinque libri (Don De Lillo, esempio, mi lascia sempre fuori dalla porta, e non capisco, non capisco proprio cosa debbo fare per farmelo amico. Forse niente). Fred Vargas no, con te è diverso. Io, giuro che potrei elencarne pregi e difetti, di Fred proprio, solo sulla scorta di quello che lei ha deciso di rendere pubblico (non solo i romanzi gialli, ma anche i saggi, gli articoli e quelle-robe-là che la mamma della mia amica Pattie non riesce proprio a perdonarle). E lo farei, come un gioco, anzi no, una sfida, se per caso io la incontrassi per strada: Ehi Fred, scommettiamo che ti dico cose sul tuo carattere che nemmeno tu sai? Ma devo dire, non l’ho mai confessato, che io Fred Vargas l’ho davvero incontrata per strada. Eravamo assieme in fila alla boulangerie che affaccia su Rue Monge.

 

Perché poi capita questa buffa coincidenza di andare a vivere non solum nella stessa città sed etiam nello stesso arrondissement in cui ha sede il commissariato di polizia del commissario Adamsberg. E quelle vie, quegli incroci, quelle camminate da Montparnasse a Austerlitz da spalarci le nuvole: tutto ciò che prima risiedeva, lassù, in una nuvola (appunto) indistinta e mitizzata (Ah, Paris! Potessi viverci un giorno!), adesso invece assume i tratti banali della quotidianità. Ehi, ma io quel posto lo conosco, ci sono passato ieri! Una volta ho parcheggiato sul lato destro di quella strada e m’hanno pure fatto la multa! Roba che dopo un po’ ti dimentichi i punti esclamativi e devi fare i conti con dei normalissimi punti e virgola;

 

Qualche settimana fa l’edizione online di Libé apriva con una notizia drammatica: In fiamme il commissariato di polizia del tredicesimo. Ricordo il mio sgomento come fosse adesso: Gesù, e il gatto? E quel tontolone di Mercadet? E Danglard e le sue bottiglie di vino? Poi però devo dire che mi sono calmato pensando che tanto, con Violette Retancourt, cosa vuoi che succeda. Niente, non può succedere niente di brutto con Violette Retancourt. Che poi è il trucco che uso quando ho un pensiero, anche al plurale, che mi agita la testa e non mi fa dormire. Penso a Violette Retancourt. E mi passa. Questo trucco me l’ha detto lei, Fred, alla boulangerie. E io mi sono fidato. Di Fred ci si può fidare.

 

E bravo il cretino. Ci sei cascato con tutti i piedi. Non vedi che è proprio quello che vuole? Illuderti per poi giocare al gatto e topo, e chiuderti a chiave in uno di quei vicoli ciechi da cui poi non sai come uscirne. Prendi La Cavalcata dei morti. A un certo punto piovono dal cielo decine, centinaia di zollette di zucchero e tu, io, lettore-di-gialli, pensi di sapere, pensi di conoscerla, Fred dico. Raccogli la mollica che lei ha finto di lasciare per strada e bingo!, ti fai accecare dalla hybris, dalla voglia di batterla, per una volta: Ah! So chi è l’assassino! Stavolta non mi freghi! Hai nominato il manigoldo, così, en passant, pensando che non me ne accorgessi, volevi fare la furba, e invece!

 

E invece niente. La hybris si paga e Fred Vargas non la batti, anche se pensi di essere più forte di lei. L’assassino, l’anello di congiunzione che tu credevi di aver trovato, in realtà è un altro. E non consola che per una volta Fred abbia dovuto forzare un po’ la mano per venirne a capo; non consola che il conte di Valleray sia forse un po’ troppo deux ex machina per passare inosservato; non consola sapere di essere caduto nella stessa falsa pista di Adamsberg. Consola, e molto, quel che ogni lettore-di-gialli dovrebbe meritarsi: svoltare all’ultima curva convinto di conoscere il mondo e trovarsi invece in un posto che, semplicemente, non era già tutto previsto.

 

***

 

– E io come diavolo ci sono arrivato fin qui?
– Ma non eri tu quello che aveva fatto la fila con Fred Vargas alla boulangerie?

 

——————————————————————————-

 

Altre cose di libri:

 

* Edoardo Nesi, Storia della mia gente
* Giffone-Longo-Parodi, Un fatto umano
* Aldo Nove, La vita oscena
* Schivando trappole in libreria
* Gli zombi che camminano leggendo (o leggono camminando)

21 Replies to “La cavalcata dello spalatore di zollette di zucchero”

  1. Io fino a non molto tempo fa ero convinto che Fred Vargas fosse un uomo.

    eph.

  2. A parte che seduta stante potrei venire a prendere un thè ghiacciato alla pesca a casa tua perchè non è possibile che tu incontri sempre tutti…(Tim Burton e la Carte, giusto per citare due a caso)
    A parte questo, ho preferito altri suoi romanzi. Mi sono precipitata in libreria e poi, non so, mi aspettavo qualcosa di più…(troppo pretenziosa?)

  3. *Eph: alla fine del primo libro pensai “Non sembra proprio un libro scritto da UNO scrittore sudamericano!”

  4. Poi, da quando ho letto “La cavalcata dei morti viventi” lo scorso luglio, sulla mia strada ho incontrato di continuo la masnada di Hellequin. In senso letterale, che ha che fare con le lettere scritte sulla carta stampata.
    Hellequin – Arlecchino, ma anche le battaglie rituali tra vivi e morti di cui tratta Carlo Ginzburg ne “La storia notturna”.

  5. *Francesca: in realtà, se la incontrassi *davvero*, non la riconoscerei. Tim Burton invece l’ho incontrato *davvero*, lui era facile da riconoscere

  6. Io non riesco ancora a capire come si possa adorare una scrittrice che scrive romanzi polizieschi prevedibili, linguisticamente sciatti, verbosi, improbabili e totalmente consolatori (dunque per quel che mi riguarda, inutili).
    Ma mi rendo conto che sono uno dei pochi che la pensa così, in mezzo ad una folla di fan osannanti, quindi mi taccio, visto che la discordia è totale e non ci sono neanche le basi minime per una discussione.

  7. *Arco: le basi per una discussione ci sarebbero, ma mi sa che hai già emesso una sentenza di morte : )

  8. Sì, è vero: ma almeno è stata meditata. Le ho dato addirittura una seconda possibilità, dopo aver detestato il suo primo libro, cosa che credo di non aver mai fatto. Ma era tanta la delusione, dopo aver sentito parlarne bene da mezzo mondo, che mi son detto: sono caduto male, magari era proprio il più brutto. E invece.

  9. *Arco: credo sia una questione di prospettive. Non ritengo Vargas la migliore delle scrittrici possibili, ma ritengo che tra i giallisti di consumo sia difficile trovare qualcuno così bravo nel dare profondità ai personaggi. Per me, gialli o non gialli, i personaggi vengono sempre al primo posto. Senza, non rimane niente.
    Definisci i suoi libri consolatori: credo abbia a che fare con la serializzazione hardcore della faccenda. Potenzialmente, la serie Adamsberg e la serie degli Evangelisti devono poter durare “per sempre”. Da qui quella che tu chiami consolazione. Come con i fumetti, in qualche modo. Se non ci fosse una ricomposizione finale, come si potrebbe continuare la serie?

  10. No, vabbé, sei pure fan della Vargas!
    Ho cominciato i suoi libri prima di imbattermi in TFM, chissà perchè, forse anche solo per la smania di leggere le storie in ordine cronologico reale, non di pubblicazione.
    E ora che leggo il tuo post e mi rendo conto che alcuni riferimenti suscitano emozioni sfumate, eh no!, devo rileggerli tutti prima e poi quello appena pubblicato…

    Aspetto solo un attimo che sto rileggendo i 9 di Martin per poi leggermi con gusto gli ultimi 2 pubblicati in questi sei mesi…
    ….pant pant…

  11. Ah che bello TFM che ti piace anche la Vargas! E questo ultimo ne vale la pena? Di nuovo? Io sono un’ addicted, ma in francese sono davvero tosti, nonostante lei sia una medioevalista e via dicendo..sono innamorata da subito di Adamsberg, e della sua fantastica Camille. Quella cosa là che dice la madre della tua amica o chi per lei non la sopporto neppure io, ma se la incontrassi la perdonerei alla fine. E secondo me i suoi libri non sono dei capolavori, ma sanno rendere una certa atmosfera, una sensazione di attesa, di mistero e di indefinito, che sì, sono le uniche vere consolazioni della vita, la base di quella che tu chiami familiarità, e io definirei “sentimento di condivisione”. A’ bientot

  12. Il punto, caro TFM, è che non ci intendiamo sui termini: quello che tu chiami profondità dei personaggi, io lo chiamo terribile cliché. E più di tutto nella Vargas mi infastidisce questa descrizione psicologica piatta, diretta, didascalica, che gioca sulla pigrizia mentale e sulla passività dei suoi lettori (consola, lenisce, addormenta).
    Per quanto riguarda il “giallismo di consumo”, si possono trovare decine di autori nella série noire, ma anche altrove, che hanno scritto e scrivono Romans de Gare, ma con un’arte e una maestria notevole (è pur sempre artigianato).
    Sulla serialità, Simenon (per fare un nome a caso) l’aveva già percorsa con ben altri risultati (e il suo genio non si è limitato ai soli Maigret). In fondo, questa Liala del romanzo giallo non ha fatto altro che riportare il polar cinquant’anni indietro.

    Ma ora basta con questo donchisciottismo. Per farmi perdonare del mio mauvais humeur, nella prima settimana di luglio ti inviterò a prendere un aperitivo in un posto molto “vargasiano”: sono sicuro che apprezzerai.

  13. *Arco: stavo per imbarcarmi in un commento in cui dicevo che

    1 Non basta dire che un personaggio è cliché perché lo sia, un cliché
    2 Vogliamo davvero parlare di cliché nei gialli?
    3 Di Simenon potrei dire che i suoi romanzi sono tutti uguali, scritti in batteria, come le pentole, ma
    4 Ciò non mi impedisce di dire che Simenon era un grande scrittore (peraltro ho letto una quindicina di suoi romanzi, con molto gusto)

    Ma poi ho letto “Liala del romanzo giallo” e ho capito che, caro Arco, sei talmente accecato dall’odio che sì, avevi ragione te, non ci sono nemmeno le basi minime per una discussione.

    P.s. vengo nel posto vargasiano molto volentieri, a patto di non nominare mai, manco per sbaglio, Fred Vargas : )

  14. Beh, tanto per affondare, io che la psyco la faccio di mestiere non trovo affatto che la psicologia della Vargas sia piatta. E’ apparentemente facile, ma in realtà tutt’altro che mono bi dimensionale. magari avessi dei pazienti come i suo personaggi..anzi no, per fortuna no, perchè così le terapie durano molto più a lungo . Dato l’apipattimento esistenziale e psicologico e depressivo della maggior parte delle persone, oggi, almeno tre anni ci impieghi solo per rianimarli..con Adamsberg non succederebbe. Anzi, credo che mi farebbe sentire viva insieme a lui..

  15. alla fine mi è rimasta la convinzione che l’ultimo di Vargas in finale sveli che Arco tifi Inter. Baci consolatori 😉

  16. Ma “accecato dall’odio” tipo Moretti “Pasqualino sette bellezze” con tanto di bava verde? ahahahahhah lol.
    Mi spiace di aver dato quella impressione, ma “Liala del romanzo giallo” non è assolutamente un insulto quanto piuttosto un giudizio misurato che restituisce esattamente la funzione della Vargas nella storia del polar francese degli ultimi trenta-quarant’anni. Per l’esattezza, si potrebbe dire che lei è la liquidatrice fallimentare del néo-polar (il che, si badi bene, non vuol dire affatto renderla responsabile di quel fallimento). In molte interviste, d’altronde, lei stessa ha ammesso di scrivere polar “calmanti”, per rilassare gente troppo stressata che non ha più voglia di ragionare troppo.
    Sui cliché, non volevo dilungarmi a dettagliare, ma se vuoi dettaglio. Certo, per riconoscere un cliché bisogna aver presente l’originale, ché altrimenti ci pare cosa originalissima e nuovissima.

    @moglie: mi dispiace deluderti, ma non ho mai tifato inter (in gioventù fui addirittura juventino, pensa! prima di disinteressarmi totalmente del calcio).

  17. Pant-pant, arrivo un po’ in ritardo, ma arrivo.
    Si, come ti raccontai mia mamma non compra più i libri della Fred (ma li legge da me) dopo aver scoperto di quella cosa. Io faccio finta di nulla e continuo, perché la Fred scrive libri che piacciono alla pancia. Spesso vorrei avere una Violette da chiamare in caso di necessità.

  18. Io sono una di quelli che aveva giurato di non comprare più gli ultimi (due, tre) libri della Vargas per motivi extraletterari, e poi ci sono ricascata.
    Il fatto è che mi piace molto Adamsberg, anche quando vorrei tirargli due ceffoni, quindi sono di parte. In certi momenti, poi, cerco espressamente di rilassarmi, attraverso una buona storia, e la Vargas me le dà. Certo, mi fa un po’ ridere che di sè dica che “non sopporta i crimini complicatissimi (che nella realtà non esistono): un delitto è sempre semplice” e poi in certi libri fa alcune capriole per arrivare alla fine che nemmeno Holly e Benji.
    E di sicuro ci son particolari (soprattutto nel suo penultimo e ultimo libro) alquanto, diciamo, curiosi. E’ solo che quando la Vargas ti cattura e si fa piacere, non te ne accorgi. Te ne accorgi, dopo, magari, ma intanto hai letto il libro e lo hai chiuso con un sospiro di soddisfazione. Una bella lettura facile dove vuoi soltanto arrivare alla fine, ci vuole, ogni tanto. Ultimamente, per me, spesso.

  19. *Annalisa: condivido la “curiosità” per alcuni elementi degli ultimi due libri. Però, alla fine, non è mica un delitto ; )

  20. Quello che piace a me sono quelle frasi lì. Quelle che dici: ah, ecco. Solo Philip Roth, come la Vargas, e un solo Saramago (di tripli salti mortali tra eteronimi in punto di morte).

Leave a Reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *