Noi, dolce parola, noi credevamo
“Ehi, dai, vieni al Forum des associations italiennes al Marché Blanqui? Ci sarò fino alle 13!”
Sabato, un messaggio su Facebook, una mia amica che sta a Parigi da tanti anni. Il Marché Blanqui è su Boulevard Blanqui, nel tredicesimo, a un passo da Place d’Italie. È la mia prima Semaine Italienne. Arrivo verso le 1530, con comodo. È sabato. La mia amica se ne è già andata. Penso di trovarmi un luogo chiuso, invece è un luogo aperto. Un pezzo di marciapiede, la parola Marché. Ci sono tipo due ali di bancarelle. In mezzo la gente, poca. Vengo attirato da una bandiera tricolore. La bandiera del Pd. Poi c’è la bandiera di Di Pietro, la bandiera di Nichi Vendola, la bandiera di Rifondazione Comunista. Intanto dalle casse, volume fortissimo, qualcuno sta cantando a squarciagola Bella Ciao. C’è anche lo stand della Cgil. Mi avvicino. Salve, dico a una signora. Ed ho fermato l’invasor. Lei mi guarda incerta. Parla italiano?, le chiedo. Annuisce. Domando se per caso fanno assistenza fiscale, qui a Parigi anche a chi, come me, mezzo qui mezzo là, per il 2010, dico. Lei dice che sì, la fanno, in teoria, ma a Parigi quest’anno non hanno ricevuto richieste, la mia sarebbe la prima, mi nomina la sede di Lione, poi segna un numero di telefono su un volantino, mi dice il suo nome, Giuliana credo, mi dice di richiamarla in settimana, vede quello che può fare. Grazie, le rispondo, è stata gentilissima. Qualche metro più avanti c’è lo stand di Schegge di Liberazione. Li conosco, da lontano, in silenzio. Dice che il reading era stamattina. Un ragazzo sta parlando del referendum con un altro, appena arrivato. Più avanti, poco in là, della gente davanti a un microfono. C’è anche una telecamera. Ballano, cantano, Bella Ciao. Voglio andarmene, me ne vado.
Eravamo tanti, eravamo insieme, il carcere non bastava. Noi la lotta dovevamo cominciarla quando ne uscimmo. Noi, dolce parola, noi credevamo.
Venerdì, tira vento, siamo vestiti ad autunno, colori e pensieri, dal grigio al marrone. All’Escurial c’è la rassegna dei film italiani. Noi credevamo. Mario Martone. In sala ci sono quasi solo italiani. C’è aria di festa, di gente che si conosce tutta. Qualcuno dalla terza fila si volta verso qualcuno che sta in fondo alla sala, urla AH POI HO VISTO IL TUO BLOG OK OK CI VEDIAMO DOPO, alla parola blog mi volto anche io ma non vedo, non riconosco niente, solo gente, facce. Accanto a me un signore molto anziano, è francese, è solo, ha un impermeabile color panna, tipo quello dell’ispettore Derrick, non è l’ispettore Derrick, porta con sè un odore fortissimo. Ora sta parlando la direttrice dell’istituto di cultura italiana a Parigi, anzi no, prima c’è il presidente del terzo municipio di Roma, gemellato con il tredicesimo di Parigi, dice che il terzo municipio di Roma è pieno di artisti, mi viene in mente il Pigneto, poi San Lorenzo, immagini confuse, sovrapposte, una sull’altra, ricordi non ricordo, Roma è così lontana. Il presidente del Municipio parla a braccio, po’ in romano, po’ in francese, si fa tradurre, qualche parola. Il film dura due ore e mezza e oltre. Dopo il film usciamo, c’è vento, vento di autunno. C’è della gente. Si finisce a parlare. Vi è piaciuto il film, chiedo. Bah, non tanto, mi dice uno di loro. Perché? Bah, non so, non mi ha emozionato. E poi, in alcune scene sembrava di vedere Boris ihihih. Mi volto, mi alzo il bavero del giubbotto, siamo a giugno e tira vento, penso che la gente è strana, che se gli dai emozioni e li fai piangere dicono che è poltiglia, se non li fai piangere allora dicono Non mi è arrivato. Poi penso che Boris c’è questa cosa che quando c’è da dire qualcosa di negativo sul cinema italiano o sulla fiction italiana ormai la gente nomina Boris ahah Boris gli sceneggiatori italiani ahah Boris Cagna! Genio! e niente, penso che Boris ha fatto tipo tana libera tutti, che la gente, come prima, più di prima, non si tiene più, gliel’ha detto Boris ahah, e allora sa esattamente cosa sia la fiction italiana, o il cinema italiano, o tutti e due. Gente che fa il fisico nucleare, l’architetto, dico. Mi risale un fondo di amarezza, fa su e giù qualche istante, dico No guarda, lascia stare Boris, dai, lascia stare tutto. Il cinema italiano può essere tante cose, può anche essere merda, ma lascia fuori Noi credevamo. Noi credevamo non c’entra niente. Dai, andiamoci a prendere una birra, parliamo d’altro, parliamo di Parigi, noi, tutti, che stiamo facendo. Ma non parliamo della fiction italiana, per favore.
E poi torno verso casa, cammino, c’è vento, e salgo le scale e penso a questo personaggio, Angelo Cammarota, e a Valerio Binasco, che lo interpreta. Noi credevamo. L’hanno scritto Mario Martone e Giancarlo De Cataldo. Noi, dolce parola, noi credevamo.
Il primo luglio torno in Italia. Prenderò dei treni, delle macchine, degli aerei, la farò dalla testa ai piedi e poi di nuovo, all’incontrario. E in mezzo, Roma. Nove mesi dopo, dieci anni prima, quando credevo.
Quante cose ci sono in questo post. Quante.
Io ti aspetto, non vedo l'ora.
E' tempo di ritorni per tutti, Tieffè, eh?
commuovere e a ritroso muovere verso qualcosa di diverso. no dai. come scrivi tu. il vento fa cosa comune. gemellaggio e disagio. non mi piace il vento.
fai sapere quando passi per Bologna e ti rifocillo
alla peggio, ti porto un cestino da viaggio in stazione
ciao
grande struggimento in questo post. ma forse vedo la struggenza ovunque in questo periodo. Buon viaggio, comunque amico.
Ecco, giusto, appunto. Noi credevamo, ce lo diciamo sempre che nel passato, un tempo, allora, noi credevamo. Ma in quel fantomatico una volta ce n'eravamo accorti, che noi credevamo? O lo pensiamo solo adesso? Mah?!
ilgeegee
Più dolce il credere (all'imperfetto, quindi al passato) o più dolce il noi?
Comunque, parafrasando Ascanio Celestini: sono cose che prima o poi bisogna perdere. Il credere e il senso di appartenenza, dico.
Poi, ovviamente, di questo post non posso capire nulla. Non capisco Parigi, non capisco cos'è andare via lontano (fisicamente, ma più ancora mentalmente). Soprattutto non capisco perché cazzo pure le cose intelligenti come Boris finiscono per essere distrutte da esagerazione e citazioni a sproposito.
Però sul credere e sul senso di appartenenza perduti ne avrei da dire.
*Valu: se lanciassi una caccia al tesoro sui dettagli nascosti in certi post tu che mi conosci mi sa che vinceresti 🙂
*Virgh: il mio è solo un Viaggio In Italia però 😉
*Moglie: specie il vento di Juin
*Yet: se passo da Bologna mi faccio vivo per tempo, promesso
*Pattie: grazie
*Geegee: anche se prima ci si credeva, l'importante era non dirselo. Dopo, sì
*Ryuko: infatti la potenza di Boris sta anche nell'essere riuscito a andare oltre il proprio senso strettamente televisivo. Non è certo colpa di Boris se ognuno se ne è impossessato e lo ha riutilizzato come meglio credeva. P.s. Bella domanda. Dovendo scegliere, credo "dolce il Noi"
Tieffè, pure se passi da Firenze devi avvertire eh!
*Pattie: eheh, certo, ci mancasse che non ti citofonoh!
tieffe se passi da bologna allunga fino a cotignola, c'è l'arena delle balle, begli spettacoli e se sei fortunello ti allungo una piadina.
Ah. Ah. Ah.
Sapessi quanti "un" viagginitalia ho fatto io!
L'illusione è così forte che ad un certo punto non sai più verso dove stai viaggiando, i ritorni diventano partenze, la semantica della parola "casa" parde di significante e di significato e il paesaggio è così pregno di immagini e ricordi da non poter mai più essere solo "quello fuori dal finestrino".
Detto questo,
Un abbraccio 🙂