César 2021

La cerimonia dei César 2021 è stata la giusta ricompensa per chi, come noi, ha dedicato tanti anni fedeltà a una certa idea di cinema francese: Marina Foïs e Roschdy Zem (maîtresse de cerimonie e président), Sébastien Lifshitz, Emmanuel Mouret, Émilie Dequenne, Sami Bouajila, Laure Calamy.

Ci voleva l’Anno Disgraziatissimo per trovare finalmente un documentario (e che documentario: Adolescentes di Lifshitz) nella categoria Miglior Film, e un generale rinnovamento di volti, temi, opere ed omissioni. Mi si dirà: certo, quest’anno è uscita pochissima roba, vediamo l’anno prossimo quando tutto sarà normale (…). O anche: dopo l’affaire Polanski e la ristrutturazione profonda dell’Accademia dei César i premi sono stati distribuiti con il manuale-minoranze (obiezione che ormai si è insinuata nelle nostre teste, giusta o sbagliata poco importa). Ma, come dico sempre, c’è una gran differenza tra una giuria che si riunisce come nei grandi festival e i premi con centinaia di votanti che esprimono, né più né meno, lo spirito del tempo: o si accettano sempre, o non si accettano mai

Serata televisiva perfetta, in diretta dall’Olympia (un teatro!), con il pubblico composto da nominati, premiati, gente del cinema (che idea geniale, vero Sanremo?), l’orchestra diretta da Benjamin Biolay, e un gran ritmo nonostante le tre ore e mezza (i francesi su twitter si lagnavano assai: dilettanti) e nonostante l’eliminazione dell’elemento di grammatica che credevamo essenziale nelle cerimonie tv: la musichetta che interrompe i discorsi prolissi dei premiati

Quest’anno ognuno ha fatto quello che voleva: più incertezza, più disagio, più sorprese. Come quando Corinne Masiero si è spogliata completamente, rimanendo nuda nuda nuda sul palco per protestare contro l’illogica chiusura di “cinema-teatri-e-musei”. Bella televisione? Brutta televisione? Televisione. Questo ci basta. 

Momenti: il discorso di Laure Calamy, premiata come migliore attrice e che conferma quanto di buono pensiamo chi è capace di regalare giustezza e buonumore qualsiasi cosa faccia (commedie in cui recita da sola in scena con un asino, film drammatici, Dix pour cent); il regista italiano Filippo Meneghetti che vince con l’opera prima Deux (a proposito: viva sempre Barbara Sukowa); Valeria Bruni-Tedeschi e Louis Garrel con le mascherine, ennesimi momenti meh delle nostre vite sospese nel nulla; la scelta della regia di non inquadrare mai la ministra della cultura (“tutto è politica”); ogni volta che è stato nominato Jean-Pierre Bacri: ecco, io questa cosa che Jean-Pierre Bacri è morto non ci farò mai mai mai pace.

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