Il Festival di quasi tutti: questo applauso lo facciamo al Signore

Molti anni dopo Felicita Anania si sarebbe ricordata di quella remota serata in cui suo padre Aurelio l’aveva condotta sul palco della più importante manifestazione canora del Paese, facendole fare la prima, gigantesca figura di merda della sua vita. L’Italia allora era un villaggio che stava ricostruendosi dalle macerie, molte cose avevano perso di significato e, per citarle, bisognava indicarle col dito. La Provvidenza.

Chissà a cosa pensava il signor Aurelio quella sera, dietro le quinte, prima di entrare in scena. Chissà se gli vennero in mente la sua infanzia, la maestra di catechismo, la scuola elementare, i primi atti impuri, l’incontro con quella graziosa ragazza che di cognome faceva Procopio e di nome Rita, le prime messe assieme, gli sguardi furtivi, le prime uscite mano nella mano a parlare di quant’è bella la Madonna (“Madò”), e poi il matrimonio e la prima notte di nozze, a scoprire quante cose si possono fare con la Natura, ma anche con lo Spirito Santo (“Lo senti lo Spirito Santo, lo senti, eh? Senti che è sempre qui, in mezzo a noi?” “Ma se ci chiudiamo un attimo in bagno dici che si offende?” “E perché ci dobbiamo chiudere in bagno, poi chissà che si pensa che facciamo”), la prima picciridda e poi gli altri quindici (“Caro, il ginecologo dice che, ecco, forse, anche basta” “Dicci al ginecologo di farsi i cazzi soi”).

E chissà se il signor Aurelio aveva programmato tutto: salire sul palco e fare la cosa più semplice e rivoluzionaria del mondo, ovvero CHIAMARE L’APPLAUSO PER DIO. All’Ariston. Chissà se il signor Aurelio si rese conto, lì per lì, di aver mandato a rotoli, in pochi secondi, l’assunto di base di quel Festival, l’assunto su cui Carlo Conti stava lavorando sin dai tempi di Big! e Aria fresca: “Tutti cantano Sanremo, perché questo, questo è il Festival di Tutti”. Beh, quasi tutti. Più che altro il Festival di gente che parla e prega con altra gente che, molto probabilmente, non esiste. No, il signor Aurelio non se ne rese conto, ma era in buona compagnia. Nessuno capì quel che stava succedendo. Figuriamoci Carlo Conti.

Nilla Pizzi

Ho sperato che Giletti, a un certo punto, prendesse il libro di Capanna e lo tirasse in testa ad Alessandro Siani urlando E A QUESTA GENTE DIAMO PURE I VITALIZI. Ho sperato che Kanye West irrompesse in scena infilando il cd di Beck in bocca a Pintus al grido di “SI DICE AU BISTROT no A LE BISTROT IGNORANTE DI UNA CAPRA E SE TU FOSSI VERAMENTE UN ARTISTA IL PREMIO LO DARESTI A BEYONCE’, ‘A CAZZARO”. Ho sperato che Arisa fermasse uno dei tanti cicloni di comicità dei siddetti Boiler dicendo nel noto dialetto lucano CI RUMPISTIVU I CUGGHIUNA. Ho pregato l’Angelo Custode affinché Emma si avventasse su Conchita Wurst provando a strapparle la barba e, non riuscendoci, le alzasse la gonna nel pieno di una crisi isterica: “HA RAGIONE ARISA SEI FALSA CAZZO SEI FALSA!”. Ho sognato UNA GIF, una qualsiasi. E invece.

Niente, non è successo niente. Niente. Scalette fatte con la carta carbone (Max Novaresi, dimmi che tu non eri d’accordo, dimmelo), nessun tentativo di suicidio, nessuna fica argentina sbandierata a levante e ponente. A un certo punto della seconda serata, più o meno quando Pippo e Sharon Stone stavano parlando di, boh (“certo che quella donna regge proprio bene il primo piano”), mi sono sentito come Romina quando Carlo Conti ha cominciato a scandire BACIO! BACIO! e lei ha visto avvicinarsi Godzilla Albano co’ quehe mano e quel COLLO ENORME: “Oh, ma che vuoi da me, LEVATI”. Salvo poi cedere alla pressione di tredici milioni di famiglie Ananie e porgere l’altra guancia: “Sì ma il bacio non me l’hai dato!”. “Oh Romina, ma non ti sta mai bene niente”. Come va? Come va? Che palle.

rinoxa

Di solito, a Sanremo, c’è sempre qualcosa, un fiore, un direttore d’orchestra, un futuro premio Strega tra gli autori, una bambolina di Povia da riempire di spilli tutti su per il culo, insomma, qualcosa per cui valga la pena rimanere chiusi in casa per cinque sere di seguito e poi camminare in uno stato semicatatonico in queste giornate che peraltro sono un pesantissimo spoiler di primavera e voi le passate sui social a parlare di bambini ciccioni. L’anno scorso erano i Perturbazione e Sinigallia, nel ’54 il ticket Giorgio Consolini-Gino Latilla, nel ’68 Louis Armstrong (che arrivò penultimo, non ero d’accordo), nel 2006 Anna Oxa e il processo, LOL, a se stessa. Quest’anno, per la seconda volta nella storia (la prima fu il Sanremo con Giò Di Tonno, credo, ho ricordi confusi) col cazzo che stasera mi guardo VENTI COVER (non ci sono manco i duetti, CHE SENSO HA ALLORA TUTTO QUESTO?) (piuttosto vado a vedermi le ficcatine di Jamie e Dakota). Sì, l’apparecchio ai denti di Malika poteva svoltarmi l’annata, ma mi sono addormentato sei volte in tre minuti. Oppure la cantante Coconuda che mi sembrava Miriam Della Guardia ma invece era solo NEJA. La verità è che, a parte qualche vago accenno di simpatia per Galiazzo, Zilli, Raf e Gabriella Labate, tutti gli altri li chiuderei in una stanza con il signor Aurelio e Siani e poi, non so, lascerei fare allo SPIRITO SANTO. Il Signore provvede. Provvede sempre.


Il volo

Passeranno primavere/ Giorni freddi e stupidi da ricordare/ Maledette notti perse a non dormire altre a far l’amore/ Amore, sei il mio amore/ Per sempre, per me. Non per rovinarvi la sorpresa. Ma il Festival, ve lo dico oggi che è giovedì, lo vince Il Volo. Anche se non so mai se usare la terza persona singolare o plurale quando parlo di loro. Forse “Tre ragazzini a cui hanno rubato l’età dello sviluppo” suona meglio.  

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4 Replies to “Il Festival di quasi tutti: questo applauso lo facciamo al Signore”

  1. Bentornato. Guardo Sanremo aspettando i tuoi post. Che lo Spirito Santo ti protegga e ti preservi.

  2. Il grande boh.
    Gli amici di Maria han disperso il voto e alla fine tra “Amici” e “X-factor” ha vinto la Clerici.

    La caselli porta a casa un terzo posto e i giuovini.

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