Mentre aspettavo il catrevansès alla fermata, sotto la pensilina, nevischiava

Mentre aspettavo il catrevansès alla fermata, sotto la pensilina, nevischiava, potevano essere le undici del mattino, c’eravamo io e un signore con le scarpe da tennis che reggeva suo padre, anziano, che da solo non si reggeva, ci pensavo.

A me che sto qui, dico, in questa città che ancora non riesco, ho proprio pensato a me, a volte lo faccio, mi penso, mi penso tanto, e mi sono pensato guardandomi, che è un po’ scomodo, all’inizio, mi sono pensato intensamente e mi sono visto con la faccia un poco scocciata che Parigi mica c’entra, non del tutto almeno, è la faccia un poco scocciata che ho sempre in questo periodo dell’anno e ho pensato, mi sono chiesto, quel gioco che comincio e non finisco, quel gioco con gli estranei, tipo ma come ci è arrivato fin qui, qual è la sua storia?

E allora ho cominciato, all’indietro, un quadro alla volta, a tutta una serie di eventi collegati ad altri eventi, all’indietro, saltando parti e aggiustandone altre, e ho pensato, allargando lo zoom, come quando schiacci il bottone del meno di google maps, pensavo velocemente, da poter stare dentro a un pensiero in attesa di un autobus puntuale che spacca il secondo, ho pensato che sì la memoria fa come il montaggio dopo le riprese del film, magari c’erano scene che lì per lì ti sembravano fondamentali e avevi speso tempo quindi denaro per scriverle, prepararle, girarle, rifarle daccapo, ma poi, con calma e a freddo, seduto al buio, quelle scene non erano poi tutto-questo-che e quindi via, cancellate con un colpo di spugna, questo fa la memoria, e continuando di frame in frame, ho finito per arrivare là dove indietro non potevo andare più, a un venerdì notte di una strana estate, l’estate che mai scorderò, si dice in questi casi, gli eventi che sconvolsero il mondo, diranno i telegiornali negli anniversari, il mondo era il mio, c’erano cose per inerzia e cose che bruciavano, io bruciavo, c’erano stati terremoti e il tempo non bastava mai, e alla fine, quella scena è fondamentale, ci si potrebbe iniziare la storia, oppure metterla dopo, alla fine o in mezzo, con un salto all’indietro, come adesso che sto pensandomi, qui davanti a Gibert Jeune, la fontana che mai smette, io che mi metto in fila, salgo, saluto il conducente, cerco e scelgo il posto, lì in fondo, sempre in fondo mi raccomando, mi siedo, guardo fuori, il fiume scorre, scorre, come la fontana, da sempre, e scorrerà, anche dopo, non mi abituerò mai, ecco, mi sono pensato che più indietro non riesco ad andare, c’è un punto prima del quale il resto, ora, adesso, non esiste, e quel punto era quel venerdì notte di quella estate, poco prima della mezzanotte, stanno partendo delle note, ecco, la mia storia, questa storia, inizia con quella canzone.

***

Il 15 Febbraio esce il nuovo disco di un gruppo chiamato Bright Eyes. Intanto il disco si può ascoltare qui.

8 Replies to “Mentre aspettavo il catrevansès alla fermata, sotto la pensilina, nevischiava”

  1. bello ma incompleto
    perché capita che prima di quel punto ci fosse già stato qualcosa senza che al momento ci si facesse caso
    ciao

  2. e noi che ci piace perderci in queste fotografie con la colonna sonora che fanno la tua vita e cerchiamo anche di ritrovarci

  3. A perfect sonnet, vero? mi ricordo di quando scrissi di quella sera di luglio e di quella canzone che cambio' tutto…

    I Bright Eyes sono in tour…ci vediamo li'?

    Playmobil

  4. ti stai "ghezzizzando"
    tra un po' comincerai a scrivere di tempo chiuso nel fotogramma che si destruttura nel dopo che è prima ed è l'immagine del (do)mani
    attento
    🙂

    toso

  5. I tuoi post a flusso-di-coscienza sono i miei preferiti e di solito mi fanno tornare la voglia di vivere la grama vita e di scrivere qualcosa.

    Ilaria

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