“Ecco, siamo alle solite. Si vede che stàmo in Italia!”
“Allora, TuttoFaMedia…” “Mi chiami TFM, lo preferisco…“
“…dicevo, TFM, tu ti occuperai del laboratorio video assieme a lei (ragazza mora, che devo aver già visto da qualche parte, mi è vagamente familiare) e assieme a lui (ragazzo moro, faccia di chi ha, iscritto nel suo Dna, un’assoluta, inevitabile, acclarata tendenza alla pocofacenza).
Uno dei qualsiasi parchi di Roma (città verde, verde città, bella città, città bella, “Roma ti amooooooo” *). Una qualsiasi delle manifestazioni per bambini della città di Roma (i bambini salveranno il mondo, e il futuro-modesto-premioNobel per la pace-Veltroni è uno sensibile a queste cose: lo sanno tutti che prima o poi se ne andrà in Africa a curare i bambini malati).
Diamoci da fare. Osservo il computer per il montaggio. Spento. Il mixer. Spento. Le luci. Spente. “Ah, non vi ho detto che è andata via la corrente. Aspettiamo che ce la riattacchino. Nel frattempo, voi pensate”. Per inciso. La compagnia elettrica è uno degli sponsor della manifestazione, assieme all’Oviesse, a RadioCittàFutura, a Voyager (il programma di Raidue) e a Boing (una cosa tipo una tv del digitale terrestre. Tra un po’ vi parlerò del signor Boing. E capirete il senso di questo post).
Pensiamo. Dobbiamo tirare fuori delle idee. Guardo quattro scatoloni immensi. Quattro televisori a schermo piatto di 29 pollici, ancora incellophanati. Forse è meglio farsi un giro. C’è chi vende delle olive, c’è chi si annoia alla reception, chi si isterizza perchè “ancora dobbiamo aprire e già arrivano i ragazzini”, c’è chi sta seduto al bar a prendere un caffè. Ecco. Sediamoci al bar. Tutti si muovono, sembrano robottini impazziti: lavoro indefesso. “No, è solo che qui si rompono tutti i coglioni e camminare su e giù per il parco è l’unico modo per mostrare di fare qualcosa senza in realtà fare nulla“. Allungo il collo verso gli stand: effettivamente un paio di adulti uomini stanno provando a battere il record di vasche avantandrè.
Pensiamo. E’ il mio primo giorno e io sto camminando dispensando sorrisi a gente che non conosco. E nel frattempo penso.
“…dicevo, TFM, tu ti occuperai del laboratorio video assieme a lei (ragazza mora, che devo aver già visto da qualche parte, mi è vagamente familiare) e assieme a lui (ragazzo moro, faccia di chi ha, iscritto nel suo Dna, un’assoluta, inevitabile, acclarata tendenza alla pocofacenza).
Uno dei qualsiasi parchi di Roma (città verde, verde città, bella città, città bella, “Roma ti amooooooo” *). Una qualsiasi delle manifestazioni per bambini della città di Roma (i bambini salveranno il mondo, e il futuro-modesto-premioNobel per la pace-Veltroni è uno sensibile a queste cose: lo sanno tutti che prima o poi se ne andrà in Africa a curare i bambini malati).
Diamoci da fare. Osservo il computer per il montaggio. Spento. Il mixer. Spento. Le luci. Spente. “Ah, non vi ho detto che è andata via la corrente. Aspettiamo che ce la riattacchino. Nel frattempo, voi pensate”. Per inciso. La compagnia elettrica è uno degli sponsor della manifestazione, assieme all’Oviesse, a RadioCittàFutura, a Voyager (il programma di Raidue) e a Boing (una cosa tipo una tv del digitale terrestre. Tra un po’ vi parlerò del signor Boing. E capirete il senso di questo post).
Pensiamo. Dobbiamo tirare fuori delle idee. Guardo quattro scatoloni immensi. Quattro televisori a schermo piatto di 29 pollici, ancora incellophanati. Forse è meglio farsi un giro. C’è chi vende delle olive, c’è chi si annoia alla reception, chi si isterizza perchè “ancora dobbiamo aprire e già arrivano i ragazzini”, c’è chi sta seduto al bar a prendere un caffè. Ecco. Sediamoci al bar. Tutti si muovono, sembrano robottini impazziti: lavoro indefesso. “No, è solo che qui si rompono tutti i coglioni e camminare su e giù per il parco è l’unico modo per mostrare di fare qualcosa senza in realtà fare nulla“. Allungo il collo verso gli stand: effettivamente un paio di adulti uomini stanno provando a battere il record di vasche avantandrè.
Pensiamo. E’ il mio primo giorno e io sto camminando dispensando sorrisi a gente che non conosco. E nel frattempo penso.
Non c’è luce. E io non faccio che fare quello che faccio da una vita. E infatti sono già stanco. Vado al bagno (biologico). Non c’è puzza di piscio, come mi aspettavo. Forse sono il primo ad inaugurarle. Esco. “Ma chi ha lasciato scappare le mandrie?“ Frotte di bambini sporchi di colori a tempera sono aggrappati alle teste dei poveri animatori (più –trici che -tori, a dire il vero), urlando come scimmie e ridendo come bimbi. Uno di essi (tipo sei o sette anni, a proposito ma quando si deve abbandonare la dicitura “bambino” e passare a “ragazzino”?) parla (oh sbagliasse un congiuntivo!) con il tipo che cura il laaboratorio dei fumetti (oh, azzeccasse un congiuntivo!), un altro pesta i piedi, un’altra…
E così, onestamente, non ci vuole molto ad adeguarsi al clima zuccheroso e mieloso del dolce far-finta. Ma l’inesperienza è una brutta bestia. TFM infatti commette un unico, fatale, errore. Viene attratto, come tutti i quattrenni e cinquenni, del resto, dai mitici giochi BOING. Il primo consiste in una specie di lotta libera con i bambini inzaccherati dentro un enorme rivestimento morbidoso a forma di pera, che pesa il triplo rispetto ai loro esili corpicini. Risultato: manco un passo e sti poveri règazzini stramazzano al suolo per la gioia e l’ilarità degli astanti genitori (più -trici che -tori, a dire il vero) che zuffano tra di loro per arrivare alla prima fila e fare foto su foto. Il secondo, fantasioso e giocoso gioco è, nientemeno, il bowling. Ci sono degli enormi birilli morbidosi altezza uomo, ci sono i lanciatori e ci sono le palle. Solo che le palle sono i bambini. Sì. Loro. Felici e urlanti come e più dei parents. Cioè: i bambini entrano in questa palla di ferro gigantesca (ci vogliono tre animatori a sostenerla), vengono legati mani e piedi e poi lanciati (le solite tre persone di cui sopra) contro i birilli. Strike! Ovviamente è tutto pilotato e i bimbi sono felici lo stesso. Un po’ meno quando scendono, che ci mettono quella mezzoretta a ritrovare l’equilibrio, anche perchè la mamma li sta strizzando come fossero panni gocciolanti.
Insomma, io me la rido sotto i baffi (errore! mai mostrare di far nulla!), quando da lontano, sorge un urlo: “TFM!!! TFM!!!” Mi guardo intorno. Uno degli animatori addetti al lancio del bambino-palla mi sta urlando contro. E’ stremato, sudato fino all’intestino tenue. Mi sta implorando. Ha bisogno del cambio. Attimi di terrore. Ok, mi lancio.
“Scusami, ma sto morendo“. Ehhhh per così poco. “Ti prego, il tempo di un bicchiere d’acqua“. “Ok, ci penso io“. TFM fa lo sborone-tranquillone.
“Ti spiego come si fa?” “Macchè, mica ci vuole la laurea!“ TFM sborone-tranquillone2. Via. La palla di ferro è la cosa più pesante che abbia mai sorretto dai tempi di me stesso **, ma il primo bimbo mi guarda adorante e giocoso. Ok. Uno, due, tre lanci di bambini-palla. Strike!!! I genitori aumentano, i questuanti sotto il metro di altezza pure. Mi guardo intorno. Il bicchiere d’acqua del tipo deve essere introvabile. Dopo dieci minuti sono già madido&fracico e mi fa male dappertutto. Ma i bambini sono felici e io sono felice. Ad un certo punto ne arriva uno con le dita in bocca, piccolissimo, tipo treenne, che lo vuole fare a tutti i costi. Noi proviamo e per farlo entrare nel buco dobbiamo quasi metterlo in orizzontale, invece che in verticale. La mamma lo incita. Tiriamo il bimbo-palla. Strike! Al ritorno mentre la palla gira veloce, mi accorgo che due fibbie si sono staccate e il ragazzino treenne sta sbatacchiando di -a- da- in- con- su- per- tra- fra tutto il ferro. Rallento un po’, lo guardo negli occhi. Lui ride. Meglio così.
“Allora come è andata?“ chiede la genitrice.
“…” risponde lui.
E’ andata che tra un paio d’ore ecchimosi ed ematomi a manetta. Poi è il turno di una ragazzina con le trecce, alta e paffuta che se la chiacchiera che non ti dico e mentre sta là dentro urla e ride e si ingolfa con pezzi di vomito (cos’altro poteva essere quel blocco giallognolo che abbiamo poi ritrovato attaccato tra due sbarre della palla?), ma è felice. E io, noi, tutti, siamo felici. Passa un’ora e 45 minuti. TFM ha perso ogni capacità senziente. Solo tre gesti: apri palla, lancia palla, chiudi palla. E nel frattempo: correndo e pilotando la palla, ovvio.
Graziaddio, arriva il custode. “Si chiude!!!“. Ma la fila è ancora lunga, lunghissima. “COOOOOOOOOOOOOOSAAAAAAAAAAAA, si chiude? Mi fijo s’è fatta mezzora de fila e ora voi lo FATE salire“ urla una cosa-chiamata (a sproposito, direi, dalla larghezza delle fauci) mamma. Un’altra, sfruttando l’onda: “Ma siamo pazzi, dovevate dircelo prima!“.
Ed ecco che TFM fa il secondo, tragico errore della giornata. Abbandona la visuale-terra, attratto dalla forza di gravità della sua lingua penzolante e gocciolante (sudore misto a saliva mista a bava furente) e per un nanosecondo alza lo sguardo, incrociando quello di una madre-de(l)-genere. Che gli scarica addosso tutto l’odio del mondo (povero marito): “Siamo alle solite! Manco cinque minuti di straordinari potete fare? E fatelo pe’ sti regazzì!“ portando avanti un tipo-seienne, ignaro di tutto. “Si vede che stàmo in Italia!!!“.
Alchè TFM (chè è qui solo per fare un favore a uno che manco conosce), molla pocopoco la presa, di concerto con gli altri due pirla esausti, e il bimbo palla-ostaggio comincia a rotolare drammaticamente verso un punto qualsiasi del nulla. Alchè interviene il signor Boing che ci dice “ma che cazzo fate!” e alchè interviene…
Morale: sì, ok, per un paio d’ore ho smesso di pensare. Poi, mentre cercavo di contarmi costole ed ossa per capire se erano tutte al loro posto, ho ricominciato a farlo. “Chi! Chi! Voglio sapere chi me l’ha fatto fare!”
—————————————————
* piccolo stewie, come vedi le tue gesta etiliche arrivano fin qui!
** Chìmìsàmisàchèsà
E così, onestamente, non ci vuole molto ad adeguarsi al clima zuccheroso e mieloso del dolce far-finta. Ma l’inesperienza è una brutta bestia. TFM infatti commette un unico, fatale, errore. Viene attratto, come tutti i quattrenni e cinquenni, del resto, dai mitici giochi BOING. Il primo consiste in una specie di lotta libera con i bambini inzaccherati dentro un enorme rivestimento morbidoso a forma di pera, che pesa il triplo rispetto ai loro esili corpicini. Risultato: manco un passo e sti poveri règazzini stramazzano al suolo per la gioia e l’ilarità degli astanti genitori (più -trici che -tori, a dire il vero) che zuffano tra di loro per arrivare alla prima fila e fare foto su foto. Il secondo, fantasioso e giocoso gioco è, nientemeno, il bowling. Ci sono degli enormi birilli morbidosi altezza uomo, ci sono i lanciatori e ci sono le palle. Solo che le palle sono i bambini. Sì. Loro. Felici e urlanti come e più dei parents. Cioè: i bambini entrano in questa palla di ferro gigantesca (ci vogliono tre animatori a sostenerla), vengono legati mani e piedi e poi lanciati (le solite tre persone di cui sopra) contro i birilli. Strike! Ovviamente è tutto pilotato e i bimbi sono felici lo stesso. Un po’ meno quando scendono, che ci mettono quella mezzoretta a ritrovare l’equilibrio, anche perchè la mamma li sta strizzando come fossero panni gocciolanti.
Insomma, io me la rido sotto i baffi (errore! mai mostrare di far nulla!), quando da lontano, sorge un urlo: “TFM!!! TFM!!!” Mi guardo intorno. Uno degli animatori addetti al lancio del bambino-palla mi sta urlando contro. E’ stremato, sudato fino all’intestino tenue. Mi sta implorando. Ha bisogno del cambio. Attimi di terrore. Ok, mi lancio.
“Scusami, ma sto morendo“. Ehhhh per così poco. “Ti prego, il tempo di un bicchiere d’acqua“. “Ok, ci penso io“. TFM fa lo sborone-tranquillone.
“Ti spiego come si fa?” “Macchè, mica ci vuole la laurea!“ TFM sborone-tranquillone2. Via. La palla di ferro è la cosa più pesante che abbia mai sorretto dai tempi di me stesso **, ma il primo bimbo mi guarda adorante e giocoso. Ok. Uno, due, tre lanci di bambini-palla. Strike!!! I genitori aumentano, i questuanti sotto il metro di altezza pure. Mi guardo intorno. Il bicchiere d’acqua del tipo deve essere introvabile. Dopo dieci minuti sono già madido&fracico e mi fa male dappertutto. Ma i bambini sono felici e io sono felice. Ad un certo punto ne arriva uno con le dita in bocca, piccolissimo, tipo treenne, che lo vuole fare a tutti i costi. Noi proviamo e per farlo entrare nel buco dobbiamo quasi metterlo in orizzontale, invece che in verticale. La mamma lo incita. Tiriamo il bimbo-palla. Strike! Al ritorno mentre la palla gira veloce, mi accorgo che due fibbie si sono staccate e il ragazzino treenne sta sbatacchiando di -a- da- in- con- su- per- tra- fra tutto il ferro. Rallento un po’, lo guardo negli occhi. Lui ride. Meglio così.
“Allora come è andata?“ chiede la genitrice.
“…” risponde lui.
E’ andata che tra un paio d’ore ecchimosi ed ematomi a manetta. Poi è il turno di una ragazzina con le trecce, alta e paffuta che se la chiacchiera che non ti dico e mentre sta là dentro urla e ride e si ingolfa con pezzi di vomito (cos’altro poteva essere quel blocco giallognolo che abbiamo poi ritrovato attaccato tra due sbarre della palla?), ma è felice. E io, noi, tutti, siamo felici. Passa un’ora e 45 minuti. TFM ha perso ogni capacità senziente. Solo tre gesti: apri palla, lancia palla, chiudi palla. E nel frattempo: correndo e pilotando la palla, ovvio.
Graziaddio, arriva il custode. “Si chiude!!!“. Ma la fila è ancora lunga, lunghissima. “COOOOOOOOOOOOOOSAAAAAAAAAAAA, si chiude? Mi fijo s’è fatta mezzora de fila e ora voi lo FATE salire“ urla una cosa-chiamata (a sproposito, direi, dalla larghezza delle fauci) mamma. Un’altra, sfruttando l’onda: “Ma siamo pazzi, dovevate dircelo prima!“.
Ed ecco che TFM fa il secondo, tragico errore della giornata. Abbandona la visuale-terra, attratto dalla forza di gravità della sua lingua penzolante e gocciolante (sudore misto a saliva mista a bava furente) e per un nanosecondo alza lo sguardo, incrociando quello di una madre-de(l)-genere. Che gli scarica addosso tutto l’odio del mondo (povero marito): “Siamo alle solite! Manco cinque minuti di straordinari potete fare? E fatelo pe’ sti regazzì!“ portando avanti un tipo-seienne, ignaro di tutto. “Si vede che stàmo in Italia!!!“.
Alchè TFM (chè è qui solo per fare un favore a uno che manco conosce), molla pocopoco la presa, di concerto con gli altri due pirla esausti, e il bimbo palla-ostaggio comincia a rotolare drammaticamente verso un punto qualsiasi del nulla. Alchè interviene il signor Boing che ci dice “ma che cazzo fate!” e alchè interviene…
Morale: sì, ok, per un paio d’ore ho smesso di pensare. Poi, mentre cercavo di contarmi costole ed ossa per capire se erano tutte al loro posto, ho ricominciato a farlo. “Chi! Chi! Voglio sapere chi me l’ha fatto fare!”
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* piccolo stewie, come vedi le tue gesta etiliche arrivano fin qui!
** Chìmìsàmisàchèsà
Propongo di far diventare il lancio dei bambini-palla disciplina olimpica!Davvero un bel post.
A presto, in bocca al lupo per le tue nuove peripezie lavorative.
UAU
LOL!
Però non ho capito una cosa: ti pagano?
uh, da qualche giorno sei tornato e mica me ne ero accorto. buona fortuna per tutto. tutto.
ma del cantante dei Keane che si disintossica da droghe e alcool, eh, che ne dici!? non erano la faccia pulita del rock!? non ci si può fidare di nessuno, ma nessuno eh
UAU: ottima idea! solo che io divento presidente della FIBP (fed.int.bimbi palla), cioè non faccio un cazzo e smetto di lussarmi le spalle…:)
VV: sì mi pagano, ma non ho ancora capito quanto. Ho bisogno di un sindacato…
Dario: tenks. Il cantante dei keane in clinica che si ritrova il cantante dei darkness e anche pete doherty e tutti insieme si fanno delle belle sessions. Ecco: più che il cicciobombo alcolizzato mi sconvolge l’accostamento con quello scavezzacollo del signor kate moss. cmq secondo me il ricovero di cicciobombo è legato a quella schifezza di secondo-album-scarto-del-primo…
vergognaaaaaaaaaaaaaaaa!!! e se in quella palla di ferro ci fosse stato paolino????
un bacino dal freddo e dal gelo (meno male che mi sono portata i tarallini!) J.
madò quel figlio…no no paolino lo trattavo bene!
Baci