Il countdown dei calabresi

23 gennaio. Ore 18:45. ‘Nsomma, TFM se la cammina in giro per una roma frustata dalla tramontana quando ad un certo punto si imbatte in un nugolo di persone con degli striscioni un po’ arrabattati vergati con pennarello rosso.
“Che accade?” chiede. Uno dei ‘facinorosi’, ragazzo alto e cicciottello, chiare origini calabre, come gli altri, risponde che stanno aspettando il presidente premier che esca da uno studio televisivo. Sai che novità: sì, non ci crederete, ma a roma capita che tra un negozio di intimissimi e un negozio di surgelati al peso spunti dal nulla uno studio o un teatro di posa.
“Appena abbiamo saputo che si trovava qui abbiamo improvvisato questa piccola dimostrazione”.
Civile, pensa TFM. E anche divertente, considerando la mole dei rivoltosi –quattro, e infreddoliti– e considerando il testo profondamente rivoluzionario degli striscioni –foglio bianco grande quanto una tovaglia-: “Ciao Berlusconi, ancora 77 giorni e poi…”. Che, voglio dire, tutto sommato sono stati gentili a salutarlo. Avrebbero potuto anche togliere quel ciao, ma evidentemente non gli andava di essere maleducati. Da questo episodio TFM ha tratto due conclusioni:
1) I calabresi in generale non sono poi quella brutta specie che viene dipinta (“parassita” è, diciamo, l’epiteto più affettuoso). Hanno anche loro i loro trionfi nell’armadio. Non dimentichiamoci di RinoGaetano. E di RinoGaetano.
2) I calabresi in particolare sono sì civili ma anche un po’ ingenuotti. -77 giorni? Mi sa che ce ne vorrà qualcuno in più. Forse 100. I 100 giorni di.
‘Giorno.

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