Nel prologo del nuovo libro di Carrère ci sono un paio di cose su Les Revenants che non sapevo
Al già abbondante dossier sulle differenze tra Italia e Francia, adesso posso aggiungere anche questa. L’Italia è quel paese in cui già un anno prima si sa chi vincerà il premio Strega (“Piccolo, e chi sennò?”) e la competizione assume dunque i toni della farsetta malgrado una parvenza di testa a testa che però non disturba l’esito finale. La profezia che si autoavvera è più forte di ogni fantasioso tentativo di mettersi di traverso (“Mi si nota di più se mi autoplagio?”). La Francia invece è quel paese in cui tutti sanno un anno prima che il Goncourt lo vincerà Emmanuel Carrère con il suo nuovo, poderoso Le Royaume e poi, quando esce la preselezione dei 15 libri in lizza per il prestigioso premio, ci sono tutti, ma proprio tutti, ma non c’è Carrère. E questa è la Francia.
Carrère si dice un po’ dispiaciuto, ma non troppo sorpreso, visto che l’Accademia lo ha sempre ignorato (“Evidentemente non amano quello che scrivo”). Intanto si consola con due prime tirature per un totale di 140mila copie (l’uscita prevista dell’11 settembre è stata anticipata al 28 agosto per la “pressione” dei media e per le richieste dei lettori), e con una critica praticamente unanime. Un libro sulla nascita del cristianesimo attraverso gli occhi in prima persona di chi per qualche anno è stato toccato dalla “grazia” della fede. Questa la promessa del libro.
Sono molti i motivi per cui Carrère è diventato Carrère. Per quanto mi riguarda: la doppia traiettoria nel suo percorso di narratore e l’essersi misurato con mezzi diversi. Per esempio ha diretto un film tratto da un suo libro (La Moustache) e poi ha scritto per la televisione. Ripeto: ha scritto per la televisione. Di solito telefilm (come li chiamano ancora qui in Francia) o miniserie, e di solito per potersi mantenere durante le lunghe fasi di gestazione dei suoi libri. Tra i lavori televisivi, in un bizzarro cortocircuito, spiccano le sceneggiature tratte da quattro romanzi di Fred Vargas. Su tutte L’Homme aux cercles bleus, firmata con il figlio Gabriel (en passant se ne parla in Limonov). E poi, Les Revenants, serie faro per la francofonia, serie di cui pensavo di sapere molte cose, ma evidentemente me ne mancavano un paio.
Così le prime righe del prologo di Le Royaume. Ovviamente i morti che ritornano sono Les Revenants. Carrère racconta di aver lavorato sin dall’inizio al progetto, notte e giorno, assieme a Fabrice Gobert. Tutto molto bello. E poi, subito, svela che a metà della scrittura della prima stagione, contro il parere di sua moglie e del suo agente, Carrère decide di andarsene sbattendo la porta. Contrasti con la produzione: “Non sopportavo più di dover passare continuamente degli esami con gente che aveva l’età dei miei figli e che faceva delle smorfie piene di scetticismo davanti alle cose che scrivevamo. Avevo continuamente la tentazione di dire: Se voi sapete così bene cosa bisogna fare, fatevelo da soli.” Tempo dopo invita a cena Fabrice Gobert e Patrick Blossier, chef opérateur di Les Revenants, e lì, sentendoli parlare di scenografia, di attori, di tecnici, inizia a rimpiangere amaramente la sua decisione. Lui e Gobert hanno creato quelle storie, quei personaggi, e ora lui si pente di essersi fatto fuori da solo. Si definisce triste, come probabilmente lo fu Pete Best, il primo batterista dei Beatles, dopo essere uscito dal gruppo e averne visto da lontano il trionfo.
Sono alla terza pagina. Mi fermo, penso. Poco più di un anno fa, per conto di Link, ho intervistato Fabrice Gobert e abbiamo parlato molto di Carrère (“è uno scrittore incredibile, capace come nessuno di sondare l’animo umano, di entrare fin dentro il cervello dei suoi personaggi”), della serie, della scrittura, della messa in scena. Sia durante la preprazione dell’intervista, sia nell’incontro con Gobert non è mai emerso alcun dettaglio che facesse pensare a questa rottura traumatica. Certo non poteva dirmelo Gobert, che è persona seria e riconoscente. E certo non poteva dirlo ai quattro venti la produzione. Il segreto poteva essere svelato solo dalla prima persona singolare. E così è stato. Non solo. Il trauma (la solitudine dell’autore vs l’invasività della televisione) è servito come miccia per far ripartire un progetto che Carrère covava da molto tempo e che aveva messo da parte proprio per dedicarsi alla tv: quella sera, durante quella cena, per la prima volta espone agli amici il pitch della “nascita del cristianesimo”. Così, come se fosse una serie televisiva. C’est quand même bizarre, non?
*
Serial Writers, imperdibile evergreen: quattordici interviste agli autori più importanti del decennio (Vince Gilligan, Craig Thomas, Matthew Weiner, Jonathan Ames, etc.)
🙂