Popolare è una bellissima parola

 

Il Festival di Sanremo è la trasmissione più popolare della tv italiana, ma è soprattutto l’eccezione più incredibile dei sistemi radiotelevisivi di tutto il mondo. Provare a spiegare il Festival a uno straniero è un esercizio non solo complicato ma proprio impossibile. Non c’è niente come il Festival, perché forse non c’è niente come l’Italia. Un Paese che decide, una settimana l’anno, di entrare in stato confusionale, sospendendo logica, regole e buon senso e saturando gli spazi del vivere pubblico e privato in un modo irripetibile: l’Italia diventa Sanremo e Sanremo diventa l’Italia, una sovrapposizione mostruosa di lamenti, pretese, costrizioni che si gonfia, di parossismo in parossismo, fino all’esplosione del sabato notte, per poi ritrarsi e scomparire come se niente fosse successo. Tutti tornano a fare quel che stavano facendo prima, fingendo di non essersi mai dedicati con tanta animosità e partecipazione alle canzoni, alle parole e al vuoto quantico. Una finzione però reale, come se qualcuno spegnesse un interruttore e cancellasse selettivamente la memoria di un’intera popolazione. Questo è il Festival di Sanremo. Una cosa di pazzi, anzi proprio una cosa pazza, la cosa più pazza che possa capitare a un Paese che di tutto avrebbe bisogno, tranne che di cose pazze. Ma se là fuori il Paese fa a gara di pazzie come forse mai nella storia, che ne rimane del Festival di Sanremo?

 

 

 

 

Fabio Fazio è un fuoriclasse con una carriera alle spalle lunga da così a così. Non ha niente da dimostrare a nessuno, le innovazioni di scrittura televisiva e gli interventi sul reale che ha saputo indurre negli ultimi decenni parlano da soli. Questo Festival, il suo terzo, rappresentava, nei fatti, una specie di compensazione per il deprecabile trattamento che la Rai di Verro, Masi e Lei gli aveva riservato dopo il successo di Vieni via con me. Una compensazione nata in un Paese che si illudeva di poter vivere finalmente un’inedita e inebriante sobrietà. Ma l’erba tinta non muore mai, ed è subito stato chiaro che anche questo Festival sarebbe stato molto complicato. Le ipotesi di spostamento, il budget risicato, l’attenzione perennemente altrove (la politica e il Vaticano, i soliti noti, ma stavolta più noti). Uno sfinimento, ancor prima di cominciare.

 

E infatti ieri sera mancava qualcosa, nel Fabio Fazio che conoscevamo. Sembrava quasi distante, abbandonato al fatalismo di un cerino che, tornando indietro, forse avrebbe volentieri lasciato ad altri. Ma tant’è. Non era facile arrivare dopo le edizioni di Lucio Presta e Gianmarco Mazzi, fortunate sul piano degli ascolti e del consenso generale. Non era facile cambiare progetto creativo (da Simona Ercolani e Federico Moccia a Francesco Piccolo, Serra e gli altri storici collaboratori) concentrandosi come non mai sulle canzoni. Ma era facile, molto, condurre questo programma (che sempre di programma si tratta) dopo il tragico biennio di Gianni Morandi, cantante dal carisma inesauribile cui non si può non voler bene, ma anche il conduttore più impreparato dai tempi di Occhipinti-Fenech. Fazio ha guidato la prima serata quasi col pilota automatico, aiutato dal contrappunto Littizzetto, gestendo bene gli inevitabili imprevisti e smentendo clamorosamente gli approssimati che già si stracciavano le vesti urlando al festival radical-chic. L’immagine di Fazio che canta L’Italiano in un inedito trio con Cutugno e Littizzetto è quanto di più clamorosamente lontano da certi bollini aprioristici che spesso gli vengono appiccicati addosso. Popolare vuol dire per tutti, non bassa qualità.

 

 

Sospese per un anno le targhe alterne Benigni/Celentano, stavolta è toccato a Maurizio Crozza agitare gli animi dei semplici. Diciamolo subito, Maurizio Crozza non è l’animale giusto per Sanremo. Crozza non è esplosivo come Benigni, non gode di un seguito sciamanico come Celentano, non è così popolare. Di più. Crozza costruisce i suoi pezzi agendo di complessità e non di facilità, non cerca la battuta a ogni costo, e quando sembra che non faccia ridere è perché non vuole far ridere. La satira non deve far ridere a tutti i costi, anzi, può essere efficace in altri modi diversi. E i modi che Crozza utilizza non sono esattamente sanremesi. Si concentra sul dettaglio e non sul generale, cita cose che le mamme e le nonne non possono capire (Fassino, Fassina e Ruzzle), procede lentamente, quasi aggirando il pubblico, non prendendolo a schiaffi-strappa-applausi.

 

Insomma, troppo cerebrale per Sanremo, che vive di pancia anzi di intestini, ma comunque ben strutturato per riprendersi da una botta come quella della contestazione di un paio di attori consumati. Momenti di dramma, in cui forse Crozza ha accarezzato l’idea di andarsene, stupito come molti spettatori non tanto dalla pervicacia ululante di questo o quel maleducato, ma che un evento del genere stesse davvero capitando, e per un tempo così eterno, prima che qualcuno intervenisse a sanare un’evidente ingiustizia. Vittima Crozza. La ripresa è stata faticosa (da qui forse la sensazione percepita di lunghezza, ma tanto a Sanremo qualunque cosa tu faccia su quel palco, qualsiasi, eh ma che palle, basta) e ha condizionato il resto: facile, facilissimo, dire dopo che il pezzo era montato male, che si doveva partire da Ingroia e finire con Berlusconi. Facile, facilissimo, pretendere di insegnare il mestiere agli altri. Rimane che il momento migliore del mini-show, per ferocia ed efficacia, è stato proprio la fine, con Crozza aiutato da una spalla perfetta (Fazio), e decisamente liberato da aspettative e obblighi a tutti i costi. Già, le aspettative.

 

Poi c’erano anche le canzoni, ma questo è un altro discorso.

 

 

16 Replies to “Popolare è una bellissima parola”

  1. Eccoti, finalmente. Però vogliamo i voti alle canzoni. Io non voglio insegnare il lavoro a nessuno, ma la percezione del pezzo di Crozza è stata davvero di una lungaggine estrema. Io avrei preferito che entrasse come Bastianich, per dire.
    Poi l’analisi che fai è come al solito lucidissima, ma io che vivo di pancia e di intestini mi sono annoiata (ma io anche con Celentano eh).

  2. Però,
    da un istrione come Crozza non ci si poteva aspettare una maggior presenza di spirito, un “sapersene” uscire con ironia, un minore impastamento di bocca?

  3. *Pattie: sono le stesse sensazioni di pancia provate con Benigni e Celentano (ci ricordiamo l’anno scorso cosa NON gli hanno detto contro?). Il punto quindi è: il Festival ha bisogno di un’ora di monologo di cui tutti si lamentano o ha un’autonomia che potrebbe farci vivere senza?

    *Elvira: c’è da considerare la variabile Palco di Sanremo, che fa rendere molti, se non tutti, al di sotto del loro potenziale.

  4. C’è anche da considerare che Crozza è molto, molto emotivo. I suoi pezzi sono sempre iperscritti, è un istrione perché non lascia niente al caso, quindi in una situazione così complicata di sicuro non gli veniva facile improvvisare.

    Comunque io prima o poi ti faccio una statua. Sfido a trovare un’analisi più lucida di questa.

  5. Io eviterei i monologhi di un’ora fatti per e polemiche e li sostituirei con mille momenti di sanremo story: i cantanti vecchi, le canzoni belle e tanti fiori.
    E comunque altra tradizione di Sanremo è quella di dire che era sempre meglio quello dell’anno scorso (come i fòchi di San Giovanni)

  6. Unico appunto…io mamma…ma soprattutto nonna…ne so a pacchi su Fassina/o e Ruzzle…
    ma analisi come sempre lucida e puntuale che condivido in toto…ed ora la vado orgogliosamente a condividere…
    Per favore…s’il te plaìt…mi dici ton prénom…?…;-)
    Maria Luisa

  7. Grazie TFM…ma dimmi il tuo nome…voglio pensarti con il tuo nome…fai parte ormai della mia vita…;-)

  8. Crozza ha avuto modo di fare un bagnetto di umiltà visto che ogni tanto si sente fin troppo potente; ma in realtà perchè gioca in casa, E il pubblico di Sanremo non è lo stesso della 7, possibile non l’avesse calcolato? Purtroppo era sotto tono, e se contestato, crolla in depressione. E’ il limite narcisistico del grande artista, che io comunque preferisco in circuito più “elitari”. Au revoir.

  9. dovreste fare un esperimento, guardare Sanremo di giorno, tipo al posto di “uno mattina” o di “pomeriggio 5″… come faccio io che lo vedo in streaming su Rai Replay (sia sempre lodato), senza pubblicità e con la facoltà di interrompere o andare avanti.

    Si aprono nuove prospettive! Non è stato uno spettacolo lungo, né noioso, solo diverso. Un Sanremo con le pezze al culo che si rivedono nelle scenografie (sapienti).

    Un programma italiano fatto bene dove non fila tutto liscio, come sempre nei programmi italiani, ma gestito da professionisti che danno un senso alle parole “lavorare in televisione”.

    Crozza bravo, bravo oltre le mura dell’Ariston.

    Vi amo
    Anna

  10. Allora, per via della sospensione dell’intelligenza di un Paese intero per una settimana nella metonimia di Sanremo, io ho un paio di cose da dire:
    1) La Spagna SI FERMA. e dico, si ferma per i Sanfermines, ovvero alle sei del mattino a reti unificate tramettono lo”spettacolo” dei tori seguiti da umani, questo per sei giorni, più volte al giorno. La gente é lì, dice che non guarda ma guarda sempre, se può, ci va.
    2) Gli Stati Uniti c’hanno quella finale di cos’é? Football americano? Quella cosa che sembra rugby ma è la versione per femminucce americane, appunto. Hanno iniziato a sfraccassarci pure a noi, pensando come con Obama, ce ne potesse importare vera,ente qualcosa della Aguilera che stezza l’inno etc.
    3) L’Europa tutta, TUTTA va in sospensione durante l’Eurovision, dove le baracconate è vero, durano una notte sola, ma sono un concentrato di tutte quelle sanremesi di una settimana.

    Quindi no, non è difficile spiegarlo ad uno straniero, visto che a casa propria ognuno si sceglie la propria “ora del minchione”, noi tutto sommato abbiamo scelto le canzonette, che mi sembra un passo verso il progresso rispetto a farsi incornare dai tori per le strade….

    Ps: a me Crozza non fa ridere. E se è come dici tu: mica bisogna sempre far ridere, allora un comico che ci sta a fare? Potrebbe chiamarsi moralista, parolaio, castigatore… ma io ad un comico chieda che mi faccia ridere. Ma forse sono io che sono vecchia, anche se gioco a Ruzzle!
    Con immutato affetto

  11. *Anna: l’esperimento lo faccio quando scrivo i post il giorno dopo. Mi fa l’effetto del minestrone tirato fuori dal tupperware dopo tre giorni di frigorifero.

    *Virgh: grazie per gli spunti sempre gradevoli. Ovviamente, per amore d’iperbole, potremmo dire: nessun paese è come la Spagna, nessun paese è come gli Usa, etc. E quindi tracciare una linea comun denominatrice. Ma continuo a credere che il Festival sia impossibile da spiegare, devi sempre appoggiarti a qualche ‘tipo’, chiedere allo straniero delle forzature di ragionamento. A parte il contenuto, che ognuno può valutare trash a seconda dei propri parametri, nel Festival c’è un concentrato di ‘maniera’, di ‘fuori moda’, di ‘assurdo’ che sta tutto nel contorno, nel contenitore. L’Eurofestival e il Superbowl sono eventi tecnicamente ineccepibili, cosa che Sanremo, teatro degli sfondoni, non è e non sarà mai, ed è questo che contribuisce ad alimentarne il culto.

    p.s. Crozza, che n’est pas ma tasse de thé, fa ‘anche’ ridere, non ‘solo’ ridere. E infatti io non lo incasellerei in ‘comico’.

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