Sanremo 2011: la terza serata conferma la generalizzata atmosfera amatoriale ma ad accendere la luce ci pensa Roberto Benigni
La televisione è una cosa seria, e lo è proprio grazie alla facilità di accesso e di commento ad essa connaturata: chiunque, in teoria, può fruire di un prodotto televisivo e chiunque, in pratica, può discuterne, anche sprovvisto di corretti strumenti d’analisi. Per alcuni questa è la conferma di una povertà, di una perdurante “bassezza”. Per altri invece i numeri, e la presenza ormai quasi endemica della televisione nel panorama personale e pubblico di tutti, restituiscono il senso di un’importanza da cui non si può più prescindere: importanza cui dovrebbe essere legato un rispetto ben più solido di quello di cui la televisione normalmente gode. Ma il rispetto uno deve guadagnarselo, non è un già dato, un qualcosa che esiste in quanto tale.
Chissà i vertici della Rai e di Raiuno (un giornalista, un economista, un altro giornalista) quale reale opinione abbiano di questo Festival di Sanremo. Chissà se, al di là di dati numerici e introiti da sbandierare come unico vessillo di autocertificata competenza, siano stati capaci di mettersi dall’altra parte dello schermo, nei panni di comuni spettatori. Nel caso, beh, forse si sarebbero trovati anch’essi di fronte a uno spettacolo amatoriale di disarmante pochezza, somma di disorganizzazione, mancanza di professionalità, mestieri improvvisati. Una televisione allo sbando, spericolata, che non rende onore alla storia di chi quel palco in passato lo ha calcato, e con merito.
Negli ultimi quindici anni soltanto tre conduttori (Baudo, Fazio e Bonolis), hanno saputo governare con solidità e senza balbettii quell’enorme caravanserraglio che è Sanremo. E lo hanno fatto non solo perché quello è il loro mestiere ma, soprattutto, perché in quel mestiere sono dei fuoriclasse. La conduzione televisiva non si improvvisa: bisogna avere memoria, saper fiutare gli umori e le voglie del pubblico, saper dire messa nel rispetto di una platea davvero generalista, ma, soprattutto, saper improvvisare e gestire l’imprevisto, ovvero il sale televisivo per eccellenza. Nel corso degli anni si sono succeduti alla conduzione attori comici, conduttori e conduttrici cui il gobbo elettronico regolava la manopola dei rispettivi e tremebondi stati emotivi, gente prestata all’Evento nel nome di un motto sempre più trasversale in quest’Italia molle: tanto, che ci vuole.
Gianni Morandi non è un conduttore, ha accettato l’incarico con entusiasmo, e questo Sanremo rimarrà negli annali come un Sanremo vincente: alla fine contano i numeri, sull’albo d’oro. Ma rimarrà anche, per chi vorrà ricordarsene, l’imbarazzo costante sul palco e negli spettatori, la sensazione continua, come un rumore di sottofondo, che “qualcosa andrà sicuramente storto“, lo sguardo perso nel nulla delle vallette, Morandi che alza gli occhi al cielo sperando che la provvidenza divina fatta gobbo lo venga a salvare, cambi di scena e di palcoscenico tristemente macchinosi, urla fuori campo di qualcuno che deve indicare la retta via a chi invece per contratto dovrebbe conoscerla in modo autonomo. Televisivamente parlando, il peggio mai visto su quel palco dai tempi della gestione Aragozzini.
Ad accendere la luce in questo mare di insipienza e di dilettantismo, Roberto Benigni. Sorretto da una fisicità memorabile, per usare un aggettivo a lui caro, ha dato dimostrazione di cosa voglia dire essere un fuoriclasse, un mostro di professionismo. Ha intrattenuto, ha informato, ha divertito, forse anche educato, nel senso però più nobile del termine: eccellente storyteller, ha raccontato, a chi abbia avuto la voglia e la pazienza di seguirlo, storie, fatti ed eventi importanti ma in modo lieve, a volte fornendo punti di vista scontati altre più originali, ma sempre con un unico obiettivo in testa: far sì che il pubblico potesse sentirsi, alla fine, né migliore né peggiore, ma in qualche modo arricchito di conoscenza. Una prospettiva orizzontale che ha mescolato il popolare e il raffinato, l’alto e il basso, la citazione e il lampo di genio, raggiungendo, in modo trasversale, sia i colti che gli incolti. Ha spesso evocato senza dire, spingendo sull’acceleratore di cortocircuiti fulminanti (“la nipote di Metternich”) ma anche rallentando sul velluto mediante il ricorso a strumenti quali l’enfasi e la retorica. Una perfetta padronanza del mezzo televisivo, del contesto, della situazione, del pubblico in sala e di quello a casa. Ha dato rispetto, ottiene rispetto.
Nota: il regista Duccio Forzano, che è un bravo regista, serio, preparato, durante il pezzo più prettamente “attuale” e “politico” del lungo monologo di Benigni, non ha mai staccato sulle facce dei dirigenti televisivi e dei politici in sala, come invece ha fatto in occasione del precedente intervento di Luca e Paolo e in occasione dei passaggi più “patriottici” del monologo. Dando per scontata la bravura del regista, questa clamorosa incoerenza stilistica lascia impressioni e supposizioni di vario tipo: pressioni dall’alto? Ragioni di “realismo” e di opportunità che hanno in qualche condizionato il lavoro di regia? Chissà.
Bravo!!!!! Analisi lucida e profonda!!!!
Lo condivido su Fb perché voglio che i miei amici ti leggano…..
Maria Luisa
condivido tutto!
a morandi gli si vuole bene,ma è veramente pessimo nelle vesti di padrone di casa di sanremo.
con la prima giovane s'è pure dimenticato il "canta/dirige" (che cavolo,è una formula standard al festival,è il minimo sindacale ricordarsi "canta dirige")mah…
hai notato che alla fine dell'intervento di benigni tutto il pubblico era in piedi ad applaudire tranne una persona in prima fila?indovina chi…………la leghista carolina lussana!
Andrea
ah, tu sei bravo
a me Benigni è piaciuto quando ha cantato l'inno
tutto il resto me l'avevano già detto in quinta elementare e in terza media – tranne la storia di Cavour con la nipote di Metternich (chissà se c'è su wikipedia)
ma è stato un bel ripasso
ciao
Benigni per la prima volta da anni mi è piaciuto molto: di solito tutti dicono bravo bravo e io rimango appesa. Ma ieri sera in effetti è stato incisivo, misurato e memorabile!
Per il resto: forse stasera riesco a vedere i duetti (anche se il dispiacere di non vedere Morgan è tanto)
Ho letto su Facebook commenti acidi su Benigni, sulla sua retorica, sul fatto che ha usato cinquantatrè volte la parola memorabile.
Mah… Non so… Io, se venisse a fare il ripasso del Risorgimento nella mia classe, l'anno prossimo, lo prenderei a braccia aperte.
D'accordo su tutta la linea. Sia su benigni, che sul festival.
Veramente imbarazzante la mancanza di professionalità, che non può essere minimamente impuntata a mancanza di mezzi/tempo/appoggi etc. è semplicemente la pura incapacità di tirare fuori uno spettacolo professionale. Neanche una volta all'anno.
Ma di chi è la colpa?
Non ricordo dove, paragonavi ieri sera a X Factor. Ma ce n'erano un paio che manco avrebbero superato le prime selezioni di x factor! Figuriamoci arrivare sul palco. Unbelieavable.
Marta
(ma perché Morgan non ci sarà? need to know.)
Ilaria
Morgan non ci sarà perchè Patty Pravo è stata eliminata
ma non è ancora certo che gli eliminati non duetteranno
baby
*Andrea: Lussana. No, non cederò al Bagaglino.
*Yet: un gran bel ripasso, sì
*Pattie: eh sì, Morgan e Patty avrebbero potuto regalarci tanto
*Prof: i soliti commentatori acidi che se faceva un intervento breve "eh che palle questi vengono, prendono i soldi e se ne vanno"
*Marta: già
*Baby e Ilaria: magari li ripescano dalla Cuccarini
analisi ben scritta. in uno stile diverso da tieffemne e, per questo, ancora più ammirazione a tieffemme. condivido.
anche con la profe condivido. avercene dei professori che si fanno ascoltare e capire