Procedo per chiasmi, leggerezze e menabree: il fascino discreto della disabitudine

Milano. Est. Duomo. Ore 17:14.
In una piazza imbandita di bandiere sventolanti, un giovane uomo di 29 anni si muove con aria beffarda. Si avvicina ad un banchetto di trombette, poster, maglie farlocche e vessilli vari. Con un tono di voce fintamente affettato si rivolge all’ambulante abbacchiato.

– Ma insomma? Come è andata la partita?
– Eh, abbiamo pareggiato due a due.
– Nohhh, non mi dica. E la Roma?
– Ha vinto.
Il giovane uomo esibisce tutto il suo finto disappunto all’indirizzo del povero ambulante. Gli stringe la mano in segno di cordoglio partecipe. Poi si volta e se ne va, mani in tasca. Fischiettando. E sorridendo sotto i baffi. Il trionfo degli interisti, a piazza Duomo, proprio mentre lui era a Piazza Duomo, no. Sarebbe stato francamente troppo. 

***

Mi rigiro tutta notte nel letto. Quando mi muovo verso destra la rete fa uno strano rumore. Mi sa che le molle non funzionano bene. Penso che da quattro giorni mangio panini a pranzo e pizze a cena. Eppure tra un po’ mi perdo i pantaloni. Poi dicono i carboidrati. Mi siedo sul letto. Stropiccio gli occhi. Non credo ai sogni che ho sognato stanotte. E faccio bene. Tra pochi istanti non ne rimarrà traccia. Il giardino che sta per uscire per sempre dalla mia vita è ancora verde. C’è un pensiero che mi ronza in testa. Mi sa di aver dimenticato una parentesi aperta, ieri sera. Ah sì, devo prendere un treno. Ah sì, devo andare. Ah sì, non voglio andare. E nemmeno restare.

Chiudo il rubinetto della doccia. Osservo una goccia scivolare lungo il petto, e poi giù lungo la pancia, per poi perdersi nel bel mezzo dei peli pubici. Attendo un attimo, o due. Un attimo di smarrimento, o due. Ma poi la goccia cade, infine. Nella vasca. Fa plif. Non sono belle, le vasche, quando perdono un po’ di smalto. Friziono i capelli davanti allo specchio. Devo ricordarmi di tagliarli più che posso, appena torno. Già, appena torno.
Mi siedo sul letto. Osservo il trolley aperto. Inforco l’ultimo paio di calzini puliti e gli ultimi boxer. Mi affaccio. Il sole va e viene. Io. Vado. E. Vengo. La voce di Cat Power si libra nell’aria. Mi viene duro. Finisco di vestirmi. Chiudo il trolley. Faccio una foto a questa stanza che per quattro giorni mi ha trattato bene. Inforco gli occhiali da sole. I’m feeling blue. Le ultime note del pianoforte si allontanano in silenzio, senza far rumore. Controllo il cellulare. Sono le 10:04. Chiudo la porta dietro di me. Ci siamo.


I primi trenta secondi di Andarsene così, appena accennati. Io che scrivo sul portatile in treno, mentre attraversiamo la Toscana. Vernio e i torrenti di Vernio. Il mercato di Capo. Il ‘break-even’, pronunciato ogni tre per due dai dirigenti Mediaset. Maciachini che per me rimarrà sempre Maiachini. Via Valassina. Uscita Imbonati. Voglio uno sbagliato, che nella loro lingua significa Negroni sbagliato. La Rinascente psichedelica. Lo Straf. Le forchette di quattro centimetri che diventano cucchiai se le rigiri. Ok, va bene la gente è fashion, ma quando siamo affamati siamo tutti uguali. Il tram che cammina sui binari invasi dall’erba. Io che per poco non vado a dormire dai cinesi. Il primo gelato della stagione e qualche altra cosa che placano l’ansia del momento. Il Flemma che dalla Tiburtina se ne è andato a vivere dietro San Babila. Il corteo tutto falce e martello e bella ciao che attraversa la milano da bene. I 50 grammi di linguine al cacioricotta e rucola. Il saluto attraverso il finestrino, adesso, tra una madre e una figlia che si parlano a gesti –siamo a Firenze esseemmeenne, il cielo è grigio, qualcuno alle mie spalle dice che a Roma pioverà, la ragazza sorride dice alla madre vai, non ti preoccupare, tira fuori il nuovo libro di De Carlo e io penso a mia madre-. Cambiare casa e letto nel tepore estivo, parlando di saranno famosi e di morgan. L’amico giramondo che mi avverte: io russo. Il video di ‘Riprendere Berlino’ sparato a 60 milioni di pollici alla fnac di via Torino. Gli auricolari che mi cascano per terra, in centrale. La menabrea che improvvisamente da qualche tempo è la birra più in voga: menabrea di qui e menabrea di lì. La metro gialla che è lenta è rumorosa. La metro verde che è lenta, sporca, buia e rumorosa. Lambrate e tutte quelle cose che finiscono in –ate che finalmente hanno un senso. Gli errori che ho fatto. My mistakes were made for you. Via san vito. L’hora feliz. O qualcosa del genere. Scusi, sa mica dov’è l’hora feliz? Mi chiede uno in bici. Ci sto andando, dico io. Le bici, appunto. Porta ticinese e la pubblicità del detersivo. ‘Siamo alle colonne’. Un trancio di pizza. Una birra. Una birra. Un panino –sono le 23:34, procedo per chiasmi e mi sento leggero, così leggero che mi trattengo ad un palo della luce per non volare via sparato in cielo-. Seduto per terra con i traduttori-heroi di itasa. Parlare con LucasCorso di desmond che in fondo è il vero protagonista, colui che ha vissuto tutto, che c’è stato, che c’è e che ci sarà. Osservare gli efficienti pulitori meneghini che spurgano i tombini, qui, adesso, accanto a noi, alle tre del mattino. Lo showcase di grignani -con una ragazza che chiede: gianluca, scusa, ma per te cos’è l’amore, che nelle tue canzoni non ne parli mai?-. Il tipo che a Corso Vittorio Emanuele gioca a strega comanda colori. Da solo. E poi si mette a strisciare, per terra e come un verme. Quei due innamorati di Milano che si tengono per mano e per bici. I pollini del diametro di dieci centimetri che volano indefessi nell’aria. Il Palazzo Reale con la mostra gratuita che si intitola Icone –icone tipo: la caffettiera, la vespa, le sneakers, e le didascalie riportano: ‘caffettiera’, ‘vespa’, ‘sneakers’-. JeanClaude, Madre, Madrina e Cassandra che erano al Festival. E io me li sono persi. Il caffè meraviglioso delle Tre gazzelle accanto alle messaggerie. Lo stupore stupito di chi non si capacita di come un bel paio di corna siano ancora un insulto in voga tra gli automobilisti, anzi automobiliste. Il banchetto di forza nuova a sanbabila: case, lavoro, famiglia. La madre peruviana che studia il libro di scuola guida, mentre il figlio gioca alle macchinine sul vetro del tram numero 4. La blogger pugliese che maledice la pioggia e il suo ombrello ex-bianco. La cameriera che mi legge nel pensiero e non ci voleva poi tanto. Il lavoro e il futuro. I navigli. I famosi navigli. Porta Genova. Porta Venezia. E Porta tutto il resto. Un finestrino abbassato davanti all’hotel, alla fine della corsa. Una voce amica che dice sono successe delle cose nella mia vita, ma non è il caso che ne parliamo al telefono, quando torni ci incontriamo. Un liquore liquoroso friulano. Il Secco che legge il giornale appoggiato a una ringhiera. Gli ex coinquilini che sono pezzi di famiglie. Curtullill che mi chiama proprio mentre sorseggio il caffè con il Secco e dice: ho scovato sei bollette sei in mezzo alla pubblicità della pizza a domicilio. L’Inter che non vince e se lo merita. Il Secco che dice non ne posso più di questa incertezza ieri ho litigato con mia madre e io penso a mia madre. I discorsi iniziati e non finiti, se non dopo qualche ora: che stavo dicendo? Le pizze iniziate e non finite, per parlare e per ascoltare. La disabitudine. Le ciambelle. Il Frida. Che tra qualche anno verrò ad abitare qui di fronte e ci verrò ogni sera. I tavolini con i disegni di Keith Haring e i tavolini che traballano. Traballano? Non lo so e non è questo l’importante, adesso e francamente. Gli scompensi tipici di tutti i ritorni da tutti i viaggi del mondo. Avere altro per la testa. I bagni dei locali che sono sempre in fondo a destra. Basterebbe ascoltare meglio i testi di certe canzoni, a volte. L’irresistibile tentazione di sbattere la testa contro il muro, qualsiasi muro, interrotta dall’arrivo di un sms: è così evidente, il tuo splendore. Sorprendermi a dire, ad alta voce: cazzocazzocazzo, chi l’avrebbe mai detto?

22 Replies to “Procedo per chiasmi, leggerezze e menabree: il fascino discreto della disabitudine”

  1. è così evidente, il tuo spendore. e anche il fatto che lo sbagliato è il negroni, sbagliato.

    joujou

  2. L’andamento sintattico di questo post fa capire che sei in clima da innamoramenti. lucky you

  3. *Nur(ina): magari! però sì, mi innamorai di Milano. Colpo di fulmine, tranvata in faccia. Sono spacciato 😉

  4. Tfmmino che ti prende?

    Melanconico sei?

    Anch io rosicai quando ho visto Madre Madrina e il grande Marcello cesena. Poi citare Lucascorso in un post è poco pop.

  5. di ki è il messaggio?pustiatore!!

    Giorgio

  6. ma Nur(ina) era un simpatico diminutivo o un modo carino di chiamarmi pipì? 🙂

  7. ti avrei ripreso per il post troppo malinconico, se non avessi inserito l’incisio su Cat Power

    :-)))

  8. *Utente anonimo 5: Chi sei? Eri al Festival? E poi, dici che LucasCorso lo conosciamo in pochi? Io dico di no. Evviva.

    *Giorgio: chissà chissà

    *Nur: casomai npipì 🙂 No cercavo di trasmettere ‘affetto virtuale’!

    *Toso: fiuuu, mi sono salvato in corner -o in power-

    Già che ci sono, posso dirmelo da solo che questo post chilometrico mi piace un casino? Oh, qui melo dico melo nego melo canto melo suono e meno male.

    Con la colonna sonora delle varie tracce nascoste nel post, ovvio.

  9. I viaggi in treno ti permettono sempre di pensare, pensare tanto, pensare troppo? Sciagura non aver incontrato JeanClaude (NOOOOOO, JeandClaude NOOOOO!) e simpatica combriccola reale!

    Il Piccolo Gandhi

  10. Dillo pure, il post è davvero bello, sei quasi riuscito a commuovermi (quasi, eh?). Però non è vero che “chi l’avrebbe mai detto”: te l’avevo detto io!!

    Poi basta sostituire gli sbagliati con i daiquiri e tutto passa…

  11. il post è proprio bello bello amico.

    e gli ex-coinquilini pezzi di famiglia mi hanno strutto il cuore.

    sappilo!

  12. *Gandhino: mai troppo, mai.

    *Morgania&Pattie: non volevo chiamare gli applausi. Ma questo lo sapete già. No?

  13. *Pattie: detta così non suona benissimo, sai? Io odio ‘chi vuole essere detto bravo’ a tutti i costi. Forse odio me stesso, devo solo prenderne atto 😉

    Diciamo che nonostante una certa opinione diffusa presso certe lettrici -…- di questo blog, io NON voglio ‘essere detto bravo a tutti i costi’. Anzi. Diciamo che io, da bravo blogger esibizionista, ‘voglio essere letto’. Poi, se qualcuno apprezza, meglio.

    Come suona così?

  14. Tieffemino, via! ti si prende un po’ in giro!

    😉

    Che lo sai che alle lettrici di questo blog piace prenderti in giro.

    😉

    (bastano le faccine sorridenti?)

  15. io voevo dire che quando scrivi robe così poi un po’ pare di esserci .

    anche un sacco di frasi sono criptiche e le scrivi solo per te, o forse sono dei messaggi per chi sai tu, messaggi che chisà se verranno capiti, messaggi che forse non verranno mai letti.

    eniuei, ci porti un po’ a spasso anche a noi, e ci lasci pure la porta aperta per l’immaginazione, non ci dici mica tutto eh.

    menomale.

  16. Le corna non sono ancora passate di moda?

    A me la Menabrea piacque e non piacque. Quella bionda ok, quella torbida è una cosa imbevibile. Sembra di bere del… vabbé lasciamo perdere.

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