Scusate il ritardo. Sono io, che arrivo dopo.

Le prime volte che lavoravo con i bambini –un anno fa- me ne stavo continuamente in uno stato di angoscia e paranoia. Avevo una paura fottuta che potessero cadere, inciampare. Farsi male, insomma. E così me ne stavo sempre con la faccia scura, truce, e non riuscivo a lavorare serenamente. I bambini, vieppiù, assorbendo la mia negatività e vedendo in che condizioni versassi –sudori freddi, tremori di gambe– nemmeno mi degnavano di uno sguardo. Insomma ero un fantasma. Dopo un paio di giorni, accadde l’irreparabile –o almeno quello che io reputavo tale. Mentre andavamo a fare delle riprese con un paio di scalmanati di sei anni circa, uno di loro urtò contro un sasso, si fece un bel salto di un paio di metri e cadde, sbatacchiando tutto lo sbatacchiabile del suo esile corpicino. In quell’attimo che intercorse tra il mio battito cardiaco accelerato alla follia –e conseguenti oscuri presagi- il bimbo si rialzò come se nulla fosse, rimbalzando e saltellando. Feci un sorriso che all’inizio era solo una smorfia di gratitudine –deo gratias!- ma che poi si tramutò in una risata liberatoria. Il bimbo mi si avvicinò e mi disse: Tieffemme, poi ci fate rivedere come siamo venuti nella televisione? E lì capii che le mie paure erano infondate e che se avessi voluto rimanere al passo con loro, senza rimanere indietro, avrei dovuto darmi una mossa. E me la diedi.Perché la parabola del buon samaritano, direte voi –e di lunedì, per giunta-? Semplice. Anche quest’anno è andata. Finita. Sono riuscito quasi sempre a rimanere al passo della loro velocità supersonica. E di questo sono lieto. Ho e abbiamo fatto un ottimo lavoro –me lo dico da solo, perché mentre sullo schermo scorrevano le immagini del nostro corto e del nostro mini-documentario io ridevo di gusto e così anche il centino scarso di stoici spettatori e quando ridi a quel modo vuol dire che hai fatto bene, specie se il tuo intento era proprio quello di: divertire- ma tutto sommato di questo rimarrà lieve traccia. La traccia dei ricordi di questi giorni, quando verrà il tempo dell’indulgenza. E via. Ma rimarrà anche altro, e soprattutto: i momenti in cui mi sono scoperto inerme, io sempre sicuro delle mie certezze di giovane adulto, inerme e nudo, di fronte alla loro disarmante semplicità –non accade tutti i giorni di vedere la prospettiva delle cose con un nitore così tangibile.

Il momento in cui il piccolo Francesco è scappato dal nostro stand quindici minuti dopo che stavamo chiacchierando, ed è scappato fortissimo e velocissimo, e io l’ho seguito mentre scoppiava a piangere tra le braccia della madre e io pensavo di aver detto o fatto qualcosa di sbagliato senza volerlo e il suo amichetto del cuore mi ha detto di non preoccuparmi, che “Francesco ci mette sempre un po’, ad ambientarsi” e così poi Francesco è tornato da noi, e siamo stati tutto il pomeriggio assieme, con la madre a pochi metri di sicurezza e a poco a poco si è sciolto e ad un certo punto si è messo a ridere, ma di gusto proprio, e quando è dovuto andar via ha detto che no, non voleva andarsene e che sì, si era divertito da morire –proprio così, da morire, ha detto- e poi mi ha detto anche Grazie.

Il momento in cui il piccolo Giorgio, il protagonista-attore-nato del nostro corto –non solo attore: ad un certo punto stavo provando a spiegargli un’inquadratura e lui non mi ha nemmeno fatto finire di parlare che già aveva capito tutto e mi ha pure dato un suggerimento preziosissimo- mi ha confidato, era tipo il settimo pomeriggio che ci vedevamo, che lui in questi giorni soffriva di emicranie –forse il caldo, forse chissà- e quando arrivava da noi aveva sempre l’aria un po’ sbattutella ma alla fine della giornata lo sguardo radioso da guancia a guancia valeva più di mille parole e alla fine mi ha detto Sai che quando sto con voi mi passa il mal di testa e torno a casa e non ho più niente?

Il momento in cui Maria Chiara ha rivisto un pezzo del documentario in cui le facevamo cantare una canzone di Ramazzotti –il mio idolo!– e le sono venuti gli occhi lucidi e ha detto che noi eravamo stati cattivi perché l’avevamo ripresa facendola sembrare ‘na borgatara e gli altri bambini invece bellissimi e noi l’abbiamo rimproverata perché ovviamente non era vero, e lei ci ha sorriso e abbiamo capito, mentre continuava a dirgliene quattro alla madre –Ah ma’ nun devi vedè er firmato, nun vojo!– e alla fine le abbiamo regalato una copia del dvd e lei, come al solito mi ha detto Ahò, Tieffemme damme er cinque, e ci siamo dati il cinque –ho ancora le falangi doloranti- e lei, un attimo prima di salutarci ha detto Ahò, l’anno prossimo altro che l’intervista, me dovete fa’ ffà er firm!

Ecco, i momenti in cui mi sono scoperto fermo, immobile, senza parole, in ritardo, e mi sono messo a correre, per recuperare tempo e spazio perduti. Mi sa che ancora ne ho, di strada da farne.

E per il resto. La chiusura più o meno come l’anno scorso. Il parco tutto per noi della mega-crew, a mangiare scomposti e sguaiati, a bere –rosso, un vino che io posso!-, a ballare sul palco su cui poggiarono i loro magnifici piedi milo cotogno e strega varana, a ridere, ad imitare chuck norris e flashdance, a cantare i beatles e peppino di capri, rita pavone e madonna, a prendermi una sonora storta al piede sinistro dancing sulle note di Let’s twist again.
Sì lo so cosa state pensando: ma insomma TFM ma sempre storte piji? Ebbene sì. Ma ieri ero giustificato. Ciucco e bavoso, può capitare di non vedere un asse di legno messo male e piegare di 180 gradi piede e caviglia e sentire criccroc -!- e continuare a fare i scemi fino al ritorno notte fonda tutto pomata e ghiaccio. Può capitare. E io devo fare un sacco di cose e sono mezzo invalido. A proposito: se c’è qualche medico all’ascolto può rassicurarmi sulla non-rottura del mio piede? Cioè, quando un piede può ben dirsi frantumato? Male da matti, mi fa male. Se invece è solo è una forte storta, domanda per qualche amorevole zietta all’ascolto: fasciatura e via di pomata unguentosa? Aiuto, io pe’ ste’ cose nun so’ bono! Voglio la mammaaaa.

11 Replies to “Scusate il ritardo. Sono io, che arrivo dopo.”

  1. I bambini sono fantastici, possono essere insopportabili, seccanti, capricciosi quanto vuoi, però poi ti dicono una cosa stupida, banale all’apparenza, che ti lascia a bocca aperta.

    Sono la cosa più bella del mondo.

  2. fasciatura stretta e pomata all’arnica o artiglio del diavolo. (E’ un nome poco promettente, ma funziona!).

    Incredibile come i bambini sembrino di gomma e non si facciano mai male pur “sbatacchiando tutto lo sbatacchiabile” e noi “cresciuti” ci spacchiamo sempre tutti. La caviglia è anche un mio punto debole…

  3. Giusta, la caviglia è il nostro tallone d’Achille. Grazie per la pomata all’arnica. Sulle virtù taumaturgiche dell’arnica mi indottrinò tempo addietro una mia amica che lavorava in un’erboristeria. Vado, magari funge -e non unge-

  4. A mi ero dimenticata di manifestare la mia ormai definitiva adorazione per la bambina Maria Chiara che ha fatto il suo ingresso con sticazzi dei burattini e ha finito in gloria….

    Dovresti lavorare sempre con i bambini…

  5. Pat: la caviglia bene. Il dolore lancinante era al piede. Dopo 24 ore di piede all’aria e strascinamento, da ieri va molto meglio, quindi scongiurate complicazioni -tutto fa melodramma!-

    Pat2: eh già lavorare con i bambini è una fonte di talmente tante cose che perché no. Vedremo 🙂

    Utente anonimo: ehmmm, dopo 16 giorni di borgataritudine, io no.

  6. Tfm, scusi…però citi i bambini più fighi e divertenti. Ma di quelli che ti dicevano che “comprare e non giocare” ne vogliamo parlare? Are-are?

  7. per fortuna ero via a gustarmi i tramonti perchè avrei dovuto consigliarti e non ce so’ fa’! avrei dovuto perchè sono effettivamente zia e ho appena provato lo stesso dolore.

    cmq, per la cronaca, io ho messo il ghiaccio dei pakistani, una pomata sconosciuta presa lì per lì e una self made fasciatura. ci ho anche ballato su! l’unico must è stata la rottura di palle di dover ‘calzare’ – ordine del medico – gli zoccoli del dott. scholl modello anteguerra, gentilmente e forzatamente con sottile sadicità offerti dal suddetto medico. ah, un principio fondamentale, da quello che ho capito, è che se non lo curi – il male – ci ricaschi un sacco di volte e poi maledici quella prima volta.

    per i bimbi, adoro quegli occhi sgranati quando parli e quelle frasi che ti chiedi ma da dove diavolo le ha tirate fuori e pensi che la genialità e l’acume siano inversamente proporzionali all’età.

    neru

  8. A me il dolore è passato dopo due giorni, ma è anche vero che da allora ho adottato la tattica dell’immobilità quasi totale -giocoforza rinchiusomi in casa- Attendo controprova dopo sforzo fisico: “ho da turnà” a correre!

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