Il bello delle lavanderia-tipiche

Anche andare a lavare i panni in una lavanderia a gettoni puo’ rivelarsi esperienza altamente formativa.

“Coosa? Non hai l’ammorbidente?” “Che ti frega, basta il detersivo” “Che dici, 40 gradi bastano?” “Ti avverto, di più stinge” “dai metti i soldi e sbrighiamoci” “Cooosa? 7 euro per un carico da 16 kg? A saperlo portavo più roba, anche il copri cohuette!!!”

Attesa. Cinque lavatrici e due asciugatrici accese. Due ragazzi, uno scrive, uno legge. Due ragazze, una mangia una pseudo baguette ai cereali, l’altra legge una rivista. Un uomo al centro della sala fissa ossessivamente il movimento incessante dell’asciugatrice. I due ragazzi, visibilmente italiani, discutono animatamente sull’enormità dei costi dei corsi di lingua francese. Le ragazze, visibilmente francesine, non seguono il dotto dibattito, anzi si alzano, i loro panni sono pronti. Una delle due, prima di andarsene, si avvicina al ragazzo siculo che si sta sfrantumando i maroni nell’attesa. “Comunque, per la tragedia di prima, dei corsi di lingua, se vuoi ti posso consigliare un posto dove tengono lezioni gratuite per tutti, stranieri, extracomunitgari, rifugiati, insomma per tutti gli sfigati ultimi del mondo“. La ragazza non più francese, evidentemente, fissa il ragazzo siculo. Si vede che esige una risposta.

“Ah. Grazie della preziosa informazione. Ma tu ci sei andata? E, soprattutto, chi cazzo sei e chi ti conosce?” “Certo, ci sono andata. Due volte. Non si impara niente. Pero’ è gratis” “Ah” (Pensiero martellante: aiuto) “Comunque io sono Giorgia, di Trieste, sono qui per l’Erasmus”. “Pensavo fossi francese” “Ma sei matto? Mi hai presa per una francese-tipica?”

E cosi’ quell’espressione, francese-tipico, diventa il passe-partout per gironi e gironi di allegra follia, a casa della triestina, della veneziana (non la tenda), a mangiare risotto zucca&zucchina, crostini&birra, a sentire storie vere, storie inventate per l’occasione, chissà, storie di lavori trovati per strada (“scusa, vuoi lavorare nel mio ristorante?” “Certo, mon Marcelle!”), di muri bucati, di estremisti che picchiano handicappati, di cisto-project, dei tre allegri ragazzi morti, di coinquiline eroinomani che si bucano nel salotto di casa, di esaltazioni varie (“Hai un blog? Oddio, I’m so excited! Ho sempre voluto conoscere il padrone di un blog. Ah, a proposito, ma che cazzo è un blog?” “Un posto in cui uno scrive quello che vuole e lo mette in rete per farlo leggere agli altri” “E perchè io devo far leggere i cazzi miei agli altri?” “Vabbè te lo spiego quando ti finisci la birra”), di fumosi locali jazz, di sigur ros e cocorosie (sai che abbiamo conosciuto quelle sfattone alla conferenza di Fnac? Tutti chiedevano le loro foto firmate, noi invece abbiamo dato loro le nostre, di foto), di tedeschi accampati nell’ingresso di casa, di cinesi vicini di casa che lasciano la porta non chiusa a chiave (“Attento, che fai! Quella non è la porta della scala, è la porta di casa loro!” “Ma che cazzo ne so io, che questi dormono senza chiudersi!”), di indirizzi e-mail scritti nei cessi del Nord-Est, di sosia di AsiaArgento, OrnellaMuti, TerrySchiavo (televenditrice, you know?), di incazzature varie (“Ah, ma abiti lontano allora!” “Cazzo vuoi, non è vero” “Bè calmati, manco t’avessi detto stronza”). Insomma di questo e altro ancora, in un tourbilllon di non senso e di finzione e di realicità da far spavento, se non fosse per le matte risate del dopo, notte pre-fonda.

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