I giorni dell’abbandono – Roberto Faenza
Luglio 2005. Finalmente compro ‘I giorni dell’abbandono’ della misteriosa Elena Ferrante. A metà prezzo da Mel bookstore. Leggo d’un fiato. Bella scrittura, belle sfumature, bel personaggio femminile, insolitamente rabbiosa e volgare. Passa qualche giorno. Leggo su ‘Repubblica’: “A Venezia in concorso il film ‘I giorni dell’abbandono’, regia di Roberto Faenza con Margherita Buy e Luca Zingaretti. Musiche di Goran Bregovic, con la partecipazione di Carmen Consoli”. Ottobre 2005. Non sono andato al festival, ma mi reco a piazza cola di rienzo, cinema eden, senza particolari aspettative. Vedo il film. Attendo, per un’ora e mezza, qualcosa che motivi, a livello drammaturgico, i soldi spesi per il biglietto. Attendo, invano, uno scatto in avanti, specie all’interno della sceneggiatura. E invece nulla. Esco dal cinema con un interrogativo. Cosa rimane di una storia che hai già letto, vissuto, fatta tua, e, infine, vista, attraverso gli occhi di qualcun altro? Sempre la stessa difficoltà, la trasposizione sullo schermo. Impresa ardua. Specie riuscire ad accontentare un pubblico che ha già visto il suo film, tra le pagine, e i vuoti e le suggestioni che solo la parola scritta può restituire. Il senso dell’abbandono non viene risolto, anzi. Il regista attualizza la storia, scioglie alcuni nodi, ne ignora altri, con alcune incongruenze -imperdonabili- che viziano una scelta così coraggiosa. Il risultato non può che essere una banalizzazione del vissuto, attraverso l’uso di insopportabili ralenti, di immagini visionarie. Tutto si riduce ai tormenti di una madre, di una moglie, abbandonata in nome di una crisi di mezza età. Il vuoto di senso da cui tutto trae origine, espressione ricorrente nel romanzo, trova un’eccessiva semplificazione -inevitabile?- nel film, rimanendone svuotata, quasi svilita, da battute scontate. “Quanti anni ha, e come si chiama, questo vuoto di senso?” insinua un’amica della protagonista. Da qui in poi, il film mostra il precipitare degli eventi, la confusione che alberga nella mente di Olga. Mostra qualcosa che già sappiamo, nulla di nuovo all’orizzonte, e l’ultima mezzora si trascina nell’ostinato tentativo di seguire pedissequamente il romanzo senza perdere il filo, a tutti i costi, cambiando qui e là aspetti più o meno importanti. Si avverte l’urgenza di dover giungere allo stesso risultato. Un imbuto, quindi, che sfocia nella medesima, poetica conclusione scelta dalla Ferrante. Equilibrismo sulla fune, questo film, riuscito solo in parte, grazie alle straordinarie doti di Margherita Buy, che accetta l’arduo compito di sobbarcarsi il film -il mondo di Olga- sulle proprie spalle, e di viverlo, con l’intensità di una grande interprete. Cosa mi rimane, dunque, mentre mi dirigo verso casa? Una buona colonna sonora, una bella canzone che accompagna i titoli di coda, un’ottima attrice. Ma tutto questo, purtroppo, si sapeva già.
I giorni dell’abbandono, di R.Faenza, con M.Buy, L.Zingaretti. Voto: 4