The importance of being showrunner: Nic Pizzolatto e un paio di cose sulla seconda stagione di True Detective

Quando uno showrunner televisivo americano viene accolto in Europa da grandi ovazioni e consensi di pubblico, le reazioni sono grossomodo due: l’assunzione immediata del proprio ruolo, ovvero lo yankee più o meno disinvolto che fa il proprio irresistibile show di battute e serietà (Terence Winter e Vince Gilligan, ad esempio); oppure il mantenimento di una certa distanza, vuoi per carattere (David Simon), vuoi per marcare la propria differenza rispetto a questi europei sì bizzarri, o vuoi perché magari la sera prima ti eri ubriacato in una bettola di Pigalle e sei talmente rallentato da dover fissare per due ore un punto qualsiasi nel vuoto per mantenere la concentrazione.

 

 

Nic+Pizzolatto+MMC
Pizzolatto è quello a sinistra

 

 

 

Nic Pizzolatto entra in scena con un giubbetto di pelle, una canottiera bianca che sbuca da una camicia blu dentro dei jeans svasati in fondo e ai piedi gli stessi scarponcini che vedi nella foto. Ha questa faccia a metà tra un Brandon Walsh invecchiato meglio e uno qualsiasi dei nostri compagni delle medie se non fosse rimasto a vegetare sui divani delle periferie degli imperi. Sembra francamente sorpreso da queste centinaia di persone arrivate per ascoltare proprio lui. Alle sue spalle, sullo schermo, c’è una gigantografia della sua faccia: “Ehi ma lì ero cinque chili di meno di adesso!”, e non si sa bene se sia un modo per rompere il ghiaccio o pensa davvero che ai parigini interessino le vicissitudini della sua alimentazione. Inizia l’intervista e, per prima cosa, scopriamo che è venuto in Francia accompagnato dal suo professore di letteratura dell’università. “Gli altri vengono con le mogli, lui col professore” insinua una giornalista accanto a me. Vorrei dirle che magari se l’è portato dietro solo perché il professore in realtà gli ha risolto due o tre snodi di True Detective, perché magari sono amici per la pelle, o perché chi se ne fotte. Lascio perdere. La gente è cattiva.

 

Ma parliamo di te, Nic. Come è iniziato il tutto? “Niente, dopo il mio primo romanzo sono entrato in contatto con degli agenti di Hollywood. Ho chiesto come si faceva a entrare nel giro delle serie televisive e mi è stato detto: Scrivi un buon pilot e ne riparliamo”. Detto, più o meno fatto. Pizzolatto scrive sei pilot, tra cui c’era già quello che poi sarebbe diventato True Detective, e lo manda in giro qua e là. A questo punto la faccenda si fa un po’ più sfocata (“Ho accompagnato una mia amica alle terme e mi sono ritrovata Miss Italia”): lo script finisce nelle mani di Matthew McConaughey e tutto imbrocca la strada giusta. “Capite, quando ti presenti a fare il pitch ai network e in mano hai già due episodi scritti e un certo Matthew McConaughey nel progetto, diciamo che beh, ecco, insomma” (Nic sorride, la sala sorride). Ma mica è stato così facile, no? No, in effetti, il buon Nic si è fatto prima le ossa con The Killing (“Lì ho imparato davvero tutto, sul campo”) (per esempio quello che non va fatto in una serie?) e poi ha messo in True Detective tutto quello che aveva imparato grazie alla Letteratura e al suo professore (cenno di saluto, è in sala qui con noi) (basta, abbiamo capito!): “Sapete, all’inizio ho concepito True Detective come un vero e proprio romanzo”. Davvero?

 

La chiacchierata prosegue, ma ci sono due grossi ostacoli che si frappongono al nostro bonheur: il giornalista infila una serie di domande un po’, come dire, MEH (“Sin dal primo momento ho visto Rust e Marty un po’ come Dante e Virglio all’Inferno, è d’accordo?) e poi, soprattutto, il buon Pizzolatto manifesta dei paurosi cali di attenzione, un po’ come un qualsiasi primo ministro che non può evitare di mettersi a giocare sull’iPad tre secondi netti dopo aver lanciato una serie di diapositive fluorescenti su, boh, la riforma del Senato. Solo che Nic non ha un iPad a portata di mano e quindi si limita a strizzare gli occhietti: “Scusi, può ripetere la domanda?”

 

“Certo. Volevo sapere: all’indomani della messa in onda dell’episodio finale molta gente è rimasta delusa, forse perché si era creata un’attesa davvero enorme. Lei come ha vissuto questa cosa?” E qui Nic Pizzolatto si rianima: “A parte il fatto che credo stiamo parlando di una sparuta minoranza di persone, diciamo che il mio lavoro non è discutere coi fan del finale, di questa o quella teoria. Il mio lavoro è scrivere un buon racconto con dei buoni personaggi, andare sul set, lavorare con il regista, con gli attori. Essere uno showrunner… Tutto il resto…Se il finale non ha risposto a questioni che altri si erano posti, chi se ne frega”.

 

Il tempo passa, le solite domande dal pubblico, un ragazzo disabile ringrazia Nic per qualcosa che né lui né nessun altro in sala capisce ma non importa, perché tutti ci commuoviamo lo stesso e applaudiamo, fino alla cosa veramente importante per cui siamo venuti qua:

 

MA PARLIAMO DELLA SECONDA STAGIONE DI TRUE DETECTIVE

 

Dice Nic che in questi giorni sta scrivendo il secondo episodio (il secondo? A fine aprile?). Sulla questione della nuova coppia svela che al momento ci sono non due ma TRE personaggi principali, e che il cast non è ancora deciso (“Ma ho in mente degli attori precisi, mi aiuta a scrivere”). Per quanto riguarda l’ambientazione, ci sposteremo in California, ma non quella a cui siamo abituati, piuttosto una “California inesplorata”. E su questa promessa che suona quasi come una minaccia, il tempo di una foto con le mani in tasca ed è già Bon, dove andiamo a mangiare?

 

 

Pizzolatto

 

 

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Altri showrunner passati da questo blog: Vince Gilligan, Terence Winter e David Simon

 

 

6 Replies to “The importance of being showrunner: Nic Pizzolatto e un paio di cose sulla seconda stagione di True Detective”

  1. Ciao TFM, vorrei delle delucidazioni su
    “Voglio precisare che per me True Detective sta qualche gradino sotto le altre e quando dico le altre dico Hbo quando non s’era bevuta il cervello e Amc quando non ci prende per il culo con gli zombie ”
    Cosa c’è sopra True Detective? No polemica just curiosità!
    Grazie per questo reportage dell’incontro!

  2. *Grace: non sono molto fan del “questo è meglio di quello etc” ma di fronte agli entusiasmi isterici degli ultimi mesi (anche di insospettabili) e a commenti tipo “la migliore serie di tutti i tempi”, “quel piano sequenza WOW”, occorre ricordare, più che altro come memoria storica: The Wire, I Soprano, Six Feet under, Breaking Bad, Treme (tutte già finite) e Mad Men (che si avvia a conclusione). Per il momento è una serie discreta che andrà giudicata nell’insieme dell’antologia. Ma detto che nel panorama desolante di oggi, True Detective svetta comunque

  3. Beh, sì, allora sul principio siamo d’accordo (per me la prima stagione di TD è molto più che discreta). Effettivamente, si ha la giusta idea della grandezza di questa o quell’altra serie solo con un po’ di récul.
    Ho guardato Twin Peaks quando avevo 15 anni (di nascosto da mia madre, non so nemmeno come ho fatto), e solo ora mi rendo conto della sua bellezza!

  4. ormai in tv guardo solo, e solo in parte, il tennis, il basket e il calcio
    mi piace di più leggere, riesco a stare più attenta
    ciao

  5. *Grace: il récul è fondamentale. Vedi Homeland. Sparita.

    *Yet: brava che riesci a mantenere l’attenzione. Non è da tutti, oramai.

  6. Devo dire che dopo essermi bevuta le cinque stagioni della Good Wife (fantastiche, ho persino cominciato a guardarle coi sottotitoli pur di andare avanti), ho preso un certo gusto alle serie. Tenuto conto che non guardo Tv, ci sono arrivata con un po’ di ritardo, ma come mi piace così, una puntata dopo l’altra e far notte e andare a scuola con le borse sotto gli occhi e quando un alunno mi dice che il cane si è mangiato il compito guardarlo con la faccia di Diane con il sopracciglio alzato e rispondere “Really???” (io che non so una parola di inglisc).
    Ho tentato con Breaking Bad (consiglio del figliolo), ma non riesco ad appassionarmici, anche se dopo la quarta puntata sta andando meglio; mi sono vista allora Homeland, e dopo essermi abituata agli isterismi della bipolare e al profilo puntuto del protagonista, l’ho seguito con passione, dolorante nell’ultima puntata; House of cards, grande (li ho odiati tutti e due, i coniugi amorali e malefici). Vista anche la serie di cui si parla qui, e, nonostante le lentezze lamentate da alcuni, i predicozzi dell’incredibile Matthew e così via, a me è piaciuta (bella sigla, tra l’altro).
    Ora sono orfana.
    Per dire: non ho mai visto i Soprano (devo?), e non conosco The Wire, Six Feet under, Treme e Mad Men. Vale davvero la pena? Chiedo consiglio.
    Intanto leggo, ma quando stiro una bella serie mi solleva lo spirito.

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