And I’m packing up my sea bag, and I’ll be on my way

– Capo! Capo! Che fa gliela diamo una passata ai vetri?

Questo racconto inizia da qui. Qui è Teano. Sì, Teano. Autogrill. Sto guidando da un po’, due ore. Mi fermo. C’è il parcheggio al sole. Trentaquattro gradi. E c’è il parcheggio all’ombra. Una tenda di vimini buttata su dei pezzi di metallo. Nemmeno spengo il motore. Un ragazzo – magro, occhi scavati molto scavati, sudato – schizza in piedi. In mano tiene un attrezzo per lavare i vetri. Mi chiama Capo. Rispondo: No, grazie, il vetro è pulito.

– E una mano non gliela vogliamo dare a chi è in difficoltà?

Parla di sè in terza persona singolare ma anche in prima persona plurale. Mi guardo attorno. Altre macchine. Panini e carte stagnole, sguardi per terra, sguardi di lato, sguardi che scappano. Alzo gli occhi al cielo. Non gliela vogliamo dare una mano? Obbedisco. Prendo alcune monete, gliele porgo – oggetti di valore in macchina, devo mangiare qualcosa, la paura, meccanismi, sguardi che conosco bene, sguardi di meridione, tutti uguali – e poi gli dico che Ho solo questi soldi, mi spiace. Lui non coglie il dileggio. Lo guardo negli occhi. Nei suoi, e nei miei: il niente. Volto le spalle, questa è l’Italia, è il pizzo, papale, il pizzo, ti do i miei soldi, l’assicurazione contro la paura, oscena pratica di contrabbando pure in mezzo a questo pizzo di nulla chiamato Teano.

E poi sono paesaggi tutti uguali, finestrino abbassato a metà, l’autoradio mezza rotta che si accende e si spegne a suo piacimento ed è un trionfo di cheryl cole e lady gaghe interrotte, di biagi antonacci sempre uguali, di Radio Marie che quando la radio perde il segnale chissà com’è l’unica stazione che prende sempre è Radio Maria. Amen.

Sembra quasi un ripasso. Nomi sentiti mille volte, nomi che evocano. Impressioni. Pomigliano pugno alzato. Portici. La terza città del mondo per densità di popolazione. Dopo New York e Tokyo. Vico Equense. Pappa e Ciccia. Annarosa. Roseanne. John Goodman. Piccirillo. Darlene. Sheldon. Volano i collegamenti. Volo io, di pali in frasch-

e c’è questo ristorante in riva al mare che quando dico riva al mare dico proprio una specie di casupola con le palafitte con gli scogli sotto e all’orizzonte tuoni e fulmini come nella copertina di quel libro dove c’era quello che si chiamava quattro formaggi. Tuoni fulmini e pioggia, ma leggera, promesse non mantenute, tra un piatto di calamari che sanno di mare o forse no, sono surgelati. E mi viene in mente questa cosa, questa cosa che fa mio padre, e fa anche mia madre, e anche mia zia e mio zio, e l’altro mio zio, quello morto, e faceva mia nonna, quella morta, questa cosa di assaggiare il pesce, il primo boccone dico, una pausa di due secondi, una sospensione degna di un cliffhanger, e poi il giudizio, wait for it, sta per arrivare, eccolo: sì, è pesce fresco. Sospiro di sollievo. Oppure no: è surgelato. Amuninne. Loro, tutti, loro fanno questa cosa. Io no, io me ne sono andato. Se rimanevo giù a quest’ora la facevo pure io questa cosa della recita del pesce. Perché io sono di meridione, c’è scritto da qualche parte, ma anche no, non più ormai, non del tutto almeno. E anche questo è scritto da qualche altra parte.

Gente di Meridione. Ho vissuto a Napoli, un paio di vite fa. Non tanto, il tempo giusto. Le città hanno dei tempi. Ci sono città che bastano due giorni per capire. Città che manco una vita. Napoli l’ho amata subito, mi dava la sensazione di casa senza essere a casa. Bellezza senza briglie. Fuoco senza abitudine.

C’è questo verbo siciliano: “quartarsi”. Quartarsi, tipo “guardarsi le spalle”. E questo verbo va a braccetto – maschi, femmine, non importa – con modi, comportamenti, competenze. Cose che impari. Qua a questo punto ci sta la bicicletta. Cose che impari e non dimentichi. Come andare in bicicletta, appunto. Palermo, Napoli, province uguali, facce uguali, trucchi: io sono ‘sperto, io sono furbo, sono più furbo di te, e anche se ti accorgi che voglio fotterti, io insisto e ti fotto uguale, e anche se non ti fotto, almeno ti avrò dimostrato che non ho paura di niente, che se voglio posso fare quello che voglio, qua io sono il padrone, questa è la mia zona, questa è il mio territorio, capito? Quindi provo a fotterti, una volta, due volte, te che passi di qua, che hai un accento strano, che non c’entri nulla, che pensi di poter venire qui a bearti di questa bellezza e non pagare lo scotto: conti al ristorante che non tornano, biglietti dei mezzi pubblici spacciati per veri, patacche, posteggi rubati, gazzette dello sport che pretendono di essere lette anche mentre le stai leggendo. Non basta “quartarsi”. C’è questa mancanza di pudore, di faccia tosta, negli occhi della gente, di certa gente. C’è la rivalsa, ottusa, che passa da qui, esattamente da qui, in mezzo a rapporti di forza ribaditi con violenza. Basta un’occhiata.

Unabomber colpisce ancora. Nella provincia è caccia all’uomo.

Guardo questa prima pagina e sorrido. I giornali locali, con le loro iperboli. Dice che in questi giorni c’è in giro un pazzo che piazza bombe nei paesini. Dice addirittura qui, adesso, un attimo fa, mentre passavo di qua, di qua intendo in questo eterno zigzag lassù in cima, alla sinistra la montagna alla destra l’orizzonte. Curve a gomito, clacson per avvertire, passaggi strettissimi, autobus incastrati tra e nello splendore, motorini che scrivono sms mentre guidano, badanti che trascinano donne vecchie sul ciglio di strade protette da muretti alti un niente che se per cas-

Penisole, costiere. Tutto porta qui, qui su questa spiaggia, su questo scoglio, mentre un uomo chiamato maglione extralarge si fa spalmare la crema sulla schiena pelosa dalla zita dagli occhi storti, qui davanti a queste due americane che prendono il sole e i ragazzini senza tempo le spiano da dietro la ringhiera, qui con questa coppia lui autoctono lei cinese che crea scandalo anzi schkandalo, che le sc hanno questo suono che diventa subito schk, qui davanti a questo piatto di scialatielli al pesce spada – bùoni! –, qui nel sale che tira sulla pelle, qui in questa baia a confine col paradiso, dove in un attimo la spiaggia diventa il set per il remake di giochi senza frontiere o bellezze al bagno, ma in versione preadolescente, con le squadre di maschi contro femmine, gli adulti che fanno i giudici e i filmini che finiranno in coppa a iutùb, giochi e allegria, e palla avvelenata in acqua con i maschietti che eliminano tutte le femminucce, tutte tranne una, Rosalba, e si va avanti per mezzora, con i maschi che provano a eliminare Rosalba e vincere ma non ce la fanno, e all’improvviso la baia a confine col paradiso diventa una bolgia e tutti tifiamo per Rosalba e scandiamo cori da stadio, stranieri anziani bambini donne colori e voci che si mischiano e tutti in coro Rosalba! Resisti Rosalba! E anche io grido Dai Rosalba vinci per noi in questo maravilloso giorno di fine estate e Rosalba resiste e con la forza dell’orgoglio elimina un avversario, adesso sono due contro Rosalba e Rosalba è stanca ma rimane, Rosalba è bambina ma secondo me lo sa che le donne rimangono sempre, Rosalba stringe i denti, ma il punto è che di là c’è un riccetto con due pugni d’anni, tremendo, ha gli occhi ruvidi, lo vedi e lo sai, e così malgrado i cori, malgrado il tifo e malgrado tutto, lo sappiamo, lo sa anche Rosalba, sta per finire, la pallina di spugna parte, lo vedi che è quella giusta, il riccetto non perdona, Rosalba lo sa, la palla è quella, piena di veleno, di certezza, di spinta che arriva e Rosalba, bambina ma già donna, non si sottrae, accetta la morte del gioco, che tanto lo sa come va a finire, va a finire che Rosalba perde ma Rosalba vince, Rosalba viene portata in trionfo, è lei che vince, brava Rosalba, mentre il riccetto già si dimentica, e corre, corre verso lo scoglio lassù, corre da solo e poi si volta e urla Vediamo chi si tuffa da più alto! e tutti corrono e lo seguono e non ci sono dubbi lo sappiamo chi vincerà e ridiamo e tutti, stranieri anziani bambini donne colori usciamo dall’acqua e ci asciughiamo e facciamo questi gradini, questi milioni di scalini, che ci portano fuori dalle viscere del paradiso finsù in alto ai budelli di curve nelle curve e saliamo, ancora, stranieri anziani bambini donne e colori tra delizie al limone, babà, melanzane a cioccolato, e ancora all’indietro, il nastro si riavvolge, capri e la famosa piazzetta ah quindi era tutta qui?, e sant’agata, padre pio san pio e tutti i padri e tutti i santi, e marina di vietri, minori e maiori, atrani, scala e ravello, conca dei marini, praiano, e gira a destra poi a sinistra, su e giù, sant’agata, saliamo scendiamo e giriamo, stranieri anziani bambini donne e colori, passando per massa lubrense, sant’agnello, vico, e di nuovo su, verso napoli, tra cinquecento metri mantenere la sinistra, e la roma caserta, e teano, di nuovo, indietro indietro indietro come risucchiati fortissimo da tutta questa luce che mi fanno male gli occhi se solo penso a quello che sarà, ora, tra poco.

12 Replies to “And I’m packing up my sea bag, and I’ll be on my way”

  1. letto tutto in un fiato. poi riletto solo la parte in grassetto, sempre tutto in un fiato
    Wow. Bello tfm, non so cosa altro dirti.
    ah si, bentornato. 🙂
    Blondeinside

  2. *Grace: Rosalba era la migliore. Peccato che le sue compagne di squadre fossero scarsissime, buone solo a fare il tifo

    *Marco: ho deciso tutto all'ultimo 🙂

    *Blonde: grazie, anche perchè era uno dei miei soliti post luunghi 😉

  3. Eccolo! Lo zainetto umano ambulante! 🙂
    Il nostro menestrello incantador!
    Il riccetto, tutti i riccetti del mondo.
    Finsù, e ancor piussù.
    Bello bello. Bentornato bentornato!
    Manu

  4. Bentornato TFM e post bellissimo, complimenti!!!

    Sono stata, da siciliana come te, in costiera l'anno scorso e, al di là dei posti magnifici quanto snervanti (sia per le strade che per la calca al mare) credo che abbia la fantastica peculiarità di avere conservato l'atmosfera genuina che fa tanto Italia del dopoguerra e che alcuni posti hanno perso per delle spiagge sempre più alla moda, che poi, siamo certi di volerle davvero?

    Alessia

  5. Questo post! QUESTO POST! Tu sei bravo tieffemmino mio!

    Iob

  6. eccolo! tu che scrivi d'estate e di getto. io che ho letto tutto d'un fiato e poi ho riletto per ripassare e poi, grazie a chi, ho letto solo il grassetto di fila e sei quello sei tu.
    e sono IO che mi VANTO di leggere te.

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