Body of Proof

 

All’ultimo Roma Fiction Fest, in occasione della serata di inaugurazione, è stato presentato in anteprima mondiale il pilot di Body of Proof, atteso procedurale della Abc. Va detto che l’accoglienza è stata piuttosto fredda. La platea era molto più interessata a rendere il giusto omaggio all’eccellenza artistica di Christian De Sica o a andare a caccia degli autografi di Naveen Andrews e Kevin McKidd. Così gira il mondo. Italiano.

Body of Proof racconta le vicende di Megan Hunt (interpretata dall’ex casalinga Dana Delany),  medico legale di Philadelphia, tanto brava nel proprio lavoro (“interrogare” e “operare” i cadaveri), quanto insopportabile con chiunque le capiti a tiro: superiori, poliziotti, studentelli del dipartimento in cui lavora. Megan ha la puzza sotto il naso, si pone costantemente su un piedistallo, e sfrutta le proprie indubbie capacità investigative per infrangere le regole e creare situazioni di conflitto. Tutto ciò, ovviamente, nasconde un trauma: Megan in passato era un neurochirurgo di successo ma un giorno, a causa di un terribile incidente, le è stata diagnosticata una grave forma di tremolio alle mani. Risultato: niente più sala operatoria. Ma obitori.

Medico, indisponente, menomata: ci ricorda qualcuno? Il pensiero corre ovviamente a House, ma, diciamolo subito, il paragone non regge. E non c’entra la pur brava Dana Delany (a proposito, finalmente una serie da protagonista, lei che in passato aveva rifiutato i ruoli di Carrie Bradshaw e di Bree Van De Kamp). Body of Proof, semplicemente, rappresenta un salto all’indietro nel tempo telefilmico, un tempo lineare e facile, in cui tutto, compresa la protagonista, sembra essere assemblaggio di pezzi presi qua e là, dentro il grande “serbatoio seriale”, ma senza quel guizzo che lo possa rendere davvero attraente: Body of Proof è un enorme déjà vu.

Prendiamo la procedura crime, che dovrebbe innervare l’intero episodio: dalla scoperta del cadavere fino alla risoluzione, passando per il più classico degli spiegoni, tutto appare troppo meccanico. Inoltre Megan è presente, incomprensibilmente, in ogni scena, anche in quelle non di sua stretta competenza: irrompe negli interrogatori rubando il lavoro ai poliziotti, e risolve pure il mistero smascherando il colpevole (con il ditino puntato: Jessica Fletcher docet).

Questa anima antica del telefilm è confermata anche dal manicheismo spudorato con cui è presentato il personaggio di Megan. I pieni e le certezze che mostra sul lavoro si trasformano nei vuoti e nelle inadeguatezze della sua disastrosa vita privata. Un matrimonio fallito alle spalle e un grande shock: la figlia preadolescente è in affidamento esclusivo al padre. Megan ci appare debole, confusa, sempre sull’orlo delle lacrime. Talmente incapace di relazionarsi alla realtà da credere che il regalo giusto di compleanno per la figlia dodicenne sia una borsa griffata da duecento dollari. E allora, qual è la vera Megan? Riuscirà a risolvere i propri conflitti diventando una persona migliore? Queste le domande che vengono lanciate allo spettatore, come nel più classico telefilm di formazione.

Pur con tutte le attenuanti del caso (i pilot generalisti devono essere didascalici), Body of Proof non può che deludere. La scelta di non rischiare, di puntare così sfacciatamente sull’usato sicuro, potrebbe costituire un boomerang. E forse, sotto sotto, ne è consapevole anche la Abc: la collocazione del telefilm nella controversa serata del venerdì non promette nulla di buono.

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