12 dicembre 1969: la strage di Piazza Fontana. [Letture: Calabresi e Sofri, Spingendo la notte più in là/La notte che Pinelli]

40 anni, oggi.Il 12 dicembre 1969, alle 16:37 una bomba esplode nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura, in piazza Fontana a Milano. 17 morti, 88 feriti.
Nei sessanta minuti successivi altri quattro ordigni esplodono tra Milano e Roma. Numerosi i feriti.

Lo stesso 12 dicembre viene fermato l’anarchico Giuseppe Pinelli, ritenuto tra i responsabili della strage. Dopo tre giorni di fermo in questura, Pinelli “cade” dalla finestra di un ufficio del quarto piano. Muore sul colpo. La polizia parla subito di suicidio. Ma la tesi viene presto scartata. Le circostanze della morte dell’anarchico Pinelli non vengono chiarite, nonostante l’apertura di un’inchiesta. Nel 1975 le indagini si chiudono. L’anarchico Pinelli, entra vivo in questura e ne esce morto per un “malore attivo”: si affaccia alla finestra, sporgendosi troppo. Cade. E muore.

Mentre le indagini sulla strage proseguono -con l’arresto, ad esempio, dell’anarchico Valpreda-, nei giorni successivi alla morte di Pinelli si scatena una durissima campagna stampa contro il commissario Luigi Calabresi, ritenuto responsabile diretto di quell’evento. Calabresi diventa oggetto di minacce, accuse, articoli durissimi. Il giornale Lotta Continua svolge un ruolo di primo piano in questa campagna, che dura anni. Nel 1971 un gruppo di circa settecento tra scrittori, intellettuali, gente di cultura, firma una petizione contro Calabresi che viene pubblicata sull’Espresso. Nel maggio del 1972 Calabresi viene assassinato. Dopo decenni, in seguito alle rivelazioni del pentito Marino, vengono condannati: Adriano Sofri e Giorgio Pietrostefani come mandanti morali dell’omicidio, Ovidio Bompressi e Leonardo Marino come esecutori materiali. Bompressi venne graziato nel 2006 per motivi di salute. Marino, in quanto pentito, ebbe una riduzione della pena. Nel 1995 il reato, per Marino, cadde in prescrizione. Pietrostefani si diede invece alla latitanza. Dopo alcuni anni di carcere Sofri, ha avuto una sospensione della pena per motivi di salute. Adesso sconta i domiciliari.

Le indagini sulla strage di piazza Fontana sono durate 36 anni. Dopo svariati processi non è mai stata emessa una condanna definitiva. Tutti gli accusati, via via, sono stati assolti. Nel corso dei dibattimenti, al contrario, alcuni esponenti dei servizi segreti sono stati condannati per depistaggio.

Oggi, 40 anni dopo, rimangono i parenti dei 17 morti. “L’ul­tima sentenza della Cassazione, quella che nel 2005 prosciolse definitivamente tutti gli altri, per gli automatismi della legge in­flisse alle vittime anche il pagamento delle proprie spese processuali. Ci mise una pez­za il governo, facendosene carico con un atto di «generosità» perché dello Stato si salvasse almeno la faccia” (corriere della sera 7 dicembre). I parenti delle vittime, riuniti formalmente da qualche mese in un’associazione, non si arrendono. Ecco cosa dichiara Carlo Arnoldi, figlio di Giovanni, assassinato nella strage.

“Se è vero che la magistratura non è riuscita a con­dannare nessuno ci ha tuttavia dato una verità storica certa: con fatti, nomi e co­gnomi. Le sentenze ci hanno comunque detto che in Italia c’è stato un gruppo neo­fascista che, con la copertura di un pezzo di Stato, un giorno ha fatto una strage per far ricadere la colpa su gente che non c’en­trava, e giustificare così una repressione di destra. Questa è storia. E il nostro com­pito è trasmetterla a chi non la sa”.

Per le fonti, vedi e vedi.

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Qualche tempo fa ho scelto di leggere due libri, uno di seguito all’altro:

spingendolanotte.jpgLe emozioni, i fatti.

Mario Calabresi, figlio di Luigi, racconta la storia della propria famiglia legandola alle storie di altre famiglie “normali” le cui esistenze sono state distrutte da omicidi. Calabresi racconta l’incontro con altri figli, con altre figlie, con altre sofferenze.

Adriano Sofri
parte dalla “notte che Pinelli” e prosegue con piglio quasi ossessivo. Prende dichiarazioni, carte legali e atti processuali e li analizza al microscopio, li confronta, li incrocia, li smonta e li rimonta, in un gioco di specchi senza fine.

Due libri che, in fondo, parlano della stessa vicenda. Due libri che contengono una stessa parola nel titolo -notte-, ma con volontà opposte: se Calabresi si muove da “romanziere”, cercando di non “dirci” il dolore, ma di “mostrarcelo”, Sofri al contrario si muove da “storico”, restituendoci non la verità, ma quella che rimane, solo e soltanto, una tragedia.

10 Replies to “12 dicembre 1969: la strage di Piazza Fontana. [Letture: Calabresi e Sofri, Spingendo la notte più in là/La notte che Pinelli]”

  1. *Quad: te lo dovevo 🙂
    Per non appesantire il post già lungo non ho messo giudizi di merito. Però penso si capisca tra le righe. Su aNobii misi due stelle a quattro semplicemente perché la scelta *solo* emotiva di Calabresi non mi convince del tutto. Da lettore non ha aggiunto molto rispetto a quello che potevo immaginarmi prima di leggere il testo. La scelta "razionale" di Sofri invece è destabilizzante: con la forza dei fatti insinua dubbi e colpisce ripetutamente non solo la "testa" ma anche il "cuore". 
    Questi erano i commenti che non ho fatto su aNobii 😀

  2. Non  ho (ancora) letto quello di Sofri, ma a me il libro di Calabresi è piaciuto molto. Tu accenni al romanzato, che è una scelta che a me è piaciuta. Io però ci ho visto dentro anche tanto del giornalista. E c’ho dato 4 stelle su aNobii…  🙂 (ps cattivo: non è che non ti ha convinto la sua ricostruzione dei fatti e l’innocenza di suo padre?)

  3. *Prof: grazie mille, appena torno a italia lo cerco. mi piacciono le graphic novel.

    *truesmile: questione di gusti 🙂 about ps (un po’ ingeneroso): nel senso che io starei dalla parte dei cattivi? stai dicendo questo? non ho capito, sul serio. comunque no. non mi ha convinto proprio la scelta dell’emotività spinta. nessun libro è "sincero". ogni libro è mediato da mille riscritture, dall’intervento di editor etc. scegliere scientemente di spingere sul pedale dell’emotività non mi piace mai. quel libro poteva essere scritto da qualunque parente di qualunque vittima. non mi ha aggiunto nulla ripeto nulla rispetto alla vicenda. per quello non mi ha convinto.

    e non c’entrano nulla padri, figli, innocenti e colpevoli.
    può anche essere difficile da credere ma è così.
    P.s. calabresi "ricostruisce" davvero poco nel suo lbro. racconta per emozionare e commuovere. e basta, che è diverso.

  4. amico, raramente mi capita di non essere d’accordo con te, ma questa volta proprio non posso darti ragione.
    non ho letto il libro sdi sofri e non credo che lo leggerò, ma il libro di Calabresi è una delle cose migliori lette negli ultimi anni.
    L’emotività e i sentimanti non sono esposi e sbandierati, ma semplicemente raccontati.
    Aldilà delle tesi, dei giudizi di merito e delle posizioni il libro racconta un’altra faccia della storia degli anni’70.

    Con pudore, senza livore, senza attacchi o desiderio di vendetta.

    Recentemente ho letto anche il libro di Benedetta Tobagi e anche in quello ci ho trovato tanta umanità e tanta voglia di capire e ricordare.

    La storai deglia nni ’70 è compplessa e dolorosa, ma mi sembra che le vittime la raccontino meglio dei carnefici (non sto parlando di sofri, che non ritengo un carnefice, sia chiaro)

  5. *Cara Pattie, che bello non essere d’accordo, ogni tanto. Capito in che senso, no?

    Parliamo del libro di Calabresi. Nel post ho scritto che lui si muove da romanziere, cioè ci mostra delle cose senza dircele. Mi pare un gran complimento, no? Il mio giudizio non eccezionale prescinde da tesi politiche et similia. Mi rendo benissimo conto che è immediato buttarla in "qualcuno vs qualcun altro". Ma non è così, te lo assicuro.
    Mi sono impegnato a svuotare di senso "altro" il tutto e ho provato a ragionare solo sul piano strettamente "letterario". Bene, mi è rimasto davvero poco. Capita. Io lettore, chiuso il libro, non ho avuto nessuno scarto, nè di conoscenza, di emotività, nè di altro.
    Poi è ovvio che ognuno vive e recepisce le "opere" a modo suo. Ma ti faccio una domanda. Se quel libro, lo stesso identico, cambiando solo i nomi, fosse stato scritto, che ne so, dal figlio di D’Antona o di Biagi o di Falcone o di qualche altra vittima, sarebbe cambiato qualcosa?
    Ovvero: qual è l’"unicum" che ci restituisce Calabresi con il suo libro?

    P.s. Per esempio e visto che siamo in tema, io l’unicum nel libro di Sofri ce l’ho trovato eccome. Per questo te lo consiglio vivamente. Un libro in più male non fa. Anzi, la prima volta che ci rincontriamo te lo regalo 🙂

  6. Se io devo pensare aun unicum del libro di Calabresi ti dico: la voce.
    Mi sembra di sentirlo parlare in maniera pacata e calma di un dolore profondo, che è capitato a lui e ai suoi fratelli, ma che riguarda tutti noi.
    Lui mi ha fatto vedere una storia, mi ha fatto vedere dei sentimenti, mi ha raccontato la storia di Tobagi, Alessandrini e tanti altri che sono state vittime spesso dimenticate.
    calabresi secondo me ha una penna estremamente felice e grazie al suo libro probabilmente mlta genete avrà letto un po’ di storia di quegli anni, che male non fa.
    Su Sofri non lo so. Forse leggerò il libro se me lo regalerai..:)

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