Se per un attimo cedo alla memoria e agli occhi lucidi
Dopo la rotatoria gira a sinistra, sempre dritto. Ecco, lì c’è il mare, il mare di Mondello. E una spiaggia libera, epperò protetta da una cancellata abusiva perfettamente in tinta con le graziose villette in cui vanno a svernare i palermitani-bene. Sempre dritto, dicevo, e sulla destra ad un certo punto incontri uno dei fiori all’occhiello di questo tratto di costa –il palermitano doc non sarà d’accordo con questa mia affermazione, Palermo è tutta un fiore all’occhiello, noi siamo i migliori e i primi in tutto e per tutto-, ovvero un hotel prestigioso, che pare sospeso sul mare, retto solo da alcuni piloni di cemento attorno ai quali il mare inscurisce improvvisamente la propria nuance, anche nei giorni luminosi –e sono tanti-.
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Non ci avevo fatto caso, all’inizio. Ero andato, con i miei compagni di scuola –quattro in tutto, e tutti maschi, e tutti più o meno quattordicenni- alla Fiera del Mediterraneo, evento clou di inizio estate sempre uguale a se stesso e perciò rassicurante: esposizioni, bar, padiglioni vari. E l’autoscontro, soprattutto. Un sabato pomeriggio come tanti altri. Il caldo, un gelato. Non ci avevo fatto caso, all’inizio. Il tempo era volato, come solo lì, in quel momento, può accadere, che non ci pensi, che non te ne accorgi, che non hai tempo per renderti conto del tempo che passa. Hai altro a cui pensare, e non hai tempo, a quattordici anni. Non ci avevo fatto caso. Eppure. Poliziotti. E carabinieri. A gruppi. Tanti. Troppi. Agitati.
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Che poi già ad aprile è facile trovare una gran moltitudine che se la indugia nella sala bar all’aperto del prestigioso hotel: surfisti e surfiste, amici e amiche dei surfisti e delle surfiste, amici e amiche degli amici e delle amiche dei surfisti e delle surfiste. Insomma, un gran passio di gente legata ancora ai sani e probi valori di una volta: la crema abbronzante, la brioche con il gelato, la figa –in rigoroso ordine di spalmatura e di degustazione-. Oltre al bar prestigioso c’è poi un prestigioso ristorante –non per tutti- in cui non è infrequente trovare gente di un certo calibro. Come quella sera, un giorno qualsiasi di inizio anni ’90, in cui una squadra di basket di Perugia si trovò a cenare nel ristorante prestigioso, alla vigilia di una partita contro una squadra trapanese –ai quei tempi il basket era il primo sport isolano-, per festeggiare un compleanno. Mettete una ventina di atleti, allenatori, dirigenti tutti assieme. Una gran baldoria. Genuina, divertente. Ma pur sempre una gran baldoria. Finché ad un certo punto il direttore di sala si avvicina all’allegra tavolata chiedendo di abbassare un po’ i toni: di là, nella saletta riservata, ci sono delle persone importanti e sarebbe il caso di essere un po’ più discreti. “Persone importanti”, a Palermo, può significare una sola cosa. O l’altra.
“Come, non avete saputo niente?”. Arrivammo in ritardo di un quarto d’ora all’appuntamento con mio padre –genitore di turno sorteggiato per la riconsegna a domicilio di tutto il gruppetto-, di fronte all’ingresso principale. Io e i miei amici ci guardammo. “Saputo cosa?” chiesi, senza far troppo caso alla faccia un po’ più scura di mio padre. “Ammazzarunu a Falcone”.
A casa trovai mia madre che si muoveva da una stanza all’altra senza posa. In dieci secondi mi rovesciò addosso tutto quello che c’era da sapere. Capaci e il resto. Non ricordo molto. Ricordo solo l’aria calda di quella sera. L’aria calda e diversa. Avevo quattordici anni, porcatroia. E la faccia di fabriziofrizzi durante Scommettiamo Che. Due giorni dopo a scuola non si entrò, e poi si andò a protestare, ad urlare, a non accettare, a non poter accettare. Fu un lento risveglio. Un risveglio reso ancor più complicato dall’età e dalla mancanza di appigli, di risorse, di conferme, di risposte a quell’interrogativo che allora ci appariva naturale: perché? e che poi avremmo imparato a considerare come il più banale del mondo, a Palermo. Un lento risveglio, come quando ti alzi dal letto che hai dormito troppo e ti senti confuso e con la testa pesante e l’unica cosa che vorresti è mettere la testa sotto l’acqua ghiacciata, per riordinare i pensieri. E l’acqua ghiacciata arrivò, due mesi dopo, due mesi di sospensione totale, vissuti nell’angoscia e nell’ineluttabilità del solito mondo alla rovescia che è la mia terra infame. Due mesi dopo, una domenica pomeriggio, davanti alla televisione, sonnecchiando come solo la domenica pomeriggio d’estate può capitare, e sobbalzare per delle frasi sconnesse, frasi che non vuoi crederci, che non puoi crederci, frasi che lo sapevi, frasi che scorrono in sovrimpressione su un vecchio film da domenica pomeriggio, e le corse per casa, Mamma! Papà! Venite, presto! Hanno ammazzato Borsellino! Un’altra bomba! Un’altra, cristiddio. E poi le immagini. Via D’Amelio. Cento metri di fronte il circolo del tennis dove avevo consumato epiche battaglie di doppio con quegli altri nerd dei miei compagni di ginnasio. E nonostante perfettamente sapessi che così sarebbe andata –tutti lo sapevano, tutti, e anche oggi, se lo chiedi in giro, tutti diranno che anche lui, anche Borsellino lo sapeva, lo sapeva, cazzo, lui lo sapeva- vennero ugualmente lacrime e pianti. Le uniche lacrime e gli unici pianti concessi a quella merda.
A casa trovai mia madre che si muoveva da una stanza all’altra senza posa. In dieci secondi mi rovesciò addosso tutto quello che c’era da sapere. Capaci e il resto. Non ricordo molto. Ricordo solo l’aria calda di quella sera. L’aria calda e diversa. Avevo quattordici anni, porcatroia. E la faccia di fabriziofrizzi durante Scommettiamo Che. Due giorni dopo a scuola non si entrò, e poi si andò a protestare, ad urlare, a non accettare, a non poter accettare. Fu un lento risveglio. Un risveglio reso ancor più complicato dall’età e dalla mancanza di appigli, di risorse, di conferme, di risposte a quell’interrogativo che allora ci appariva naturale: perché? e che poi avremmo imparato a considerare come il più banale del mondo, a Palermo. Un lento risveglio, come quando ti alzi dal letto che hai dormito troppo e ti senti confuso e con la testa pesante e l’unica cosa che vorresti è mettere la testa sotto l’acqua ghiacciata, per riordinare i pensieri. E l’acqua ghiacciata arrivò, due mesi dopo, due mesi di sospensione totale, vissuti nell’angoscia e nell’ineluttabilità del solito mondo alla rovescia che è la mia terra infame. Due mesi dopo, una domenica pomeriggio, davanti alla televisione, sonnecchiando come solo la domenica pomeriggio d’estate può capitare, e sobbalzare per delle frasi sconnesse, frasi che non vuoi crederci, che non puoi crederci, frasi che lo sapevi, frasi che scorrono in sovrimpressione su un vecchio film da domenica pomeriggio, e le corse per casa, Mamma! Papà! Venite, presto! Hanno ammazzato Borsellino! Un’altra bomba! Un’altra, cristiddio. E poi le immagini. Via D’Amelio. Cento metri di fronte il circolo del tennis dove avevo consumato epiche battaglie di doppio con quegli altri nerd dei miei compagni di ginnasio. E nonostante perfettamente sapessi che così sarebbe andata –tutti lo sapevano, tutti, e anche oggi, se lo chiedi in giro, tutti diranno che anche lui, anche Borsellino lo sapeva, lo sapeva, cazzo, lui lo sapeva- vennero ugualmente lacrime e pianti. Le uniche lacrime e gli unici pianti concessi a quella merda.
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E quelli, i ragazzi, ci provano ad essere più discreti, ma cosa vuoi farci, come fai a non fare bordello quando sei in trasferta, lontano da casa, e festeggi un compleanno? E così la cagnara ricomincia. Ad un certo punto si apre una porta laterale. Cala il silenzio. Compaiono alcuni uomini. E con loro le “persone importanti”. Che si avvicinano alla tavolata e chiedono: “A chi dobbiamo brindare?”
(Di quelle persone importanti, oggi, rimane solo l’intestazione di un aeroporto e qualche patetica illusione qua e là. E io, dopo quindici anni, se ci penso, ancora non me ne faccio una ragione).
commovente. commovente.
iSleepy
commovente, si
e amarissimo
E’ la prima volta che commento qui, malgrado ti legga con piacere e da un bel po’ di tempo.
Grazie per questo ricordo.
Una terra disgraziata la nostra…
Alessia
bello questo ricordo senza un filo di retorica. grazie.
Bello, intenso e sincero.
Bravo Tfm.
Anche io ho ancora vivo il ricordo di quel giorno, e le lacrime di mia sorella (allora giovanissima agente di polizia, in servizio alle scorte e all’anticrimine di Palermo).
Questo sì che è un post da non dimenticare.
Sono fiera che la mia scuola superiore, che io avevo finito due anni prima, fu chiamata Falcone e Borsellino.
Grazie TFM, un racconto sentito davvero, partecipato anche da parte mia.