La Mennulara – Simonetta Agnello Hornby
Tanto per iniziare il nuovo anno in modo futile, parliamo di libri.”La Mennulara”, di Simonetta Agnello Hornby. La Mennulara, ovvero colei che raccoglie le mandorle, epiteto ambiguo, rimasto appiccicato per anni a questa donna, lavoratrice, “serva” in casa di una delle famiglie più importanti della propria città. La storia ha inizio dalla morte della Mennulara, dal suo funerale, e si sbroglia con ritmo serratissimo attraverso gli occhi, le maldicenze, i segreti, i pettegolezzi di un intero paese. E’ uno spaccato di lingua e cultura siciliana, con il peso di morti-ancora-vivi a dominare la scena di un periodo -metà anni ’60- nemmeno troppo lontano. L’autrice tratteggia con padronanza un meccanismo quasi perfetto, mescolando toni e colori e sapori -tragedia, commedia, farsa- come solo chi è siciliano puo’ fare, quando c’è da scrivere di sicilia e siciliani. E qui sta l’unico limite, peraltro comune a tutta la narrativa di questo genere. Come riuscire a farsi realmente comprendere dai ‘forestieri’? Come puo’, uno del continente, apprezzare fino in fondo sfumature che non ha potuto “bere con il latte materno”? Prendiamo l’uso della parola “magari”:
-“Si diceva che magari Don Vincenzo Ancona aveva degnato il funerale della sua presenza”
-“Gli fecero magari passare la voglia di gustare i dolcini di pasta di mandorla”
Insomma, come far capire l’uso tutto siciliano (in particolare zona orientale) di questa parola, del tutto differente da quello canonico? Come rendere per iscritto il suono cantilenante di quelle sei lettere? Niente, non c’è verso nè possibilità. Rimane, nel particolare e nel generale, solo una possibilità: far finta di avere a che fare con un libro tradotto da un’altra lingua, inglese o francese che sia. Non stiamo forse parlando della stessa cosa?
Ma “magari” la sottigliezza la coglie anche un continentale… 🙂
E’ esattamente quello che ha ripetuto per tutta un’ora la Hornby (non
la moglie di Nick) all’incontro tenutosi all’Istituto Italiano di
Cultura di Londra ai primi di luglio scorso. E lo condivido ed e’ con
gioia quasi che spiego agli stranieri che quelli che chiamiamo “dialects” sono vere e proprie bellissime lingue (“Sai, io parlo italiano, anconetano, marchigiano, capisco un po’ il romano. E poi qui sto imparando qui l’inglese e
vorrei provare con il francese”)
Ma quando la signora autrice (che parla peraltro un inglese che piu’posh non si puo’ per poi “magari’ ;-P scivolare su certe vocali come l’ultima degli Erasmus) ha esclamato come se fosse un vanto: “Spesso mi chiedono come si sente un’italiana a Londra e io rispondo: io non sono italiana, ma siciliana! Degli italiani non so, chiedetelo a loro”, una basita English lady si e’ girata e mi ha fatto scherzando: “Beh, non e’ la cosa piu’ opportuna da dire qua dentro!” E io ho pensato che e’ triste quanta strada ancora ci manchi per conciliare il nostro meraviglioso particolarismo con un’altrettanto indispensabile amor patrio.
(scusami, TFM, lo so che intendevi altro, ho capito, ma a questa cosa
penso da allora e vorrei tanto sapere cosa ne pensa un con….terraneo
della signora)
Ok, tutta sta filippica e poi alla faccia dell’italiano scrivo “un’altrettanto”. Mi vergogno tanto, tantissimo, sparisco per la vergogna…
Velenero: si’, magari la coglie anche, ma dipende dall’acume del continentale in questione 🙂
Ottavia: in quanto espatriata hai diritto a tutti gli errori, quegli stessi piccoli errori che smuovono la noia del mondo (sono in vena, oggi). Sulla Hornby (avevo scritto nel post anche io il riferimento a Nick ma poi l’ho cancellato pensando di essere troppo spiritoso e/o ridondante: adesso so di non essere orfano): peccato non essere stato li’ a dibattere con voi. Mi piace dibattere, anche e soprattutto di Sicilia. Comunque non hai sbagliato affatto, hai centrato il punto, e TFM la pensa come te. L’eccesso di orgoglio particolaristico conduce, a mio avviso, in un indugio quasi onanistico. Mi spiego: io siciliano me la suono e me la canto con il dialetto e mi vanto di definirmi in base all’appartenenza locale in primis. Si’, ma cara Simonetta, se vuoi fare la scrittrice -(oltre che avvocato etc., ma questa è un’altra storia su cui scrivero’ presto un post) devi rivolgerti a tutti. Il sogno di TFM è leggere e vedere, prima o poi, storie italiane&siciliane, che non si escludano l’un l’altra. Sogno. E Son desto. A bientot.
Beh… dirò una banalità, ma mi sembra che Camilleri ci sia riuscito…
Leggendo Camilleri mi son sempre chiesto come si faccia ad entrare dentro certi termini e/o espressioni, pur italianizzate. Ma forse sono solo paranoie mie, sottovaluto il prossimo 🙂