L’unica serie in cui la protagonista era una porta

Il primo sospetto che la settima stagione sarebbe stata l’ultima mi era venuto all’alba della quinta, quando non solo Will era ancora vivo e parecchie altre “migliori ore seriali della nostra vita” dovevano ancora arrivare, ma soprattutto quando il numero-delle parole-dei-titoli-degli-episodi, implacabilmente, era tornato a scendere e avevo intuito che il conto alla rovescia sarebbe terminato qui, adesso.

Caro millennial, se solo sapessi la tenerezza che provo in questo momento nel parlare di queste cose da pazzoschizzato che una volta spulciava i titoli della sua serie preferita, almeno tra quelle in onda, per trarne teorie e ragionamenti che poi portava qui, qui dentro dico, e tutto, proprio tutto, si teneva (come gli oggetti, o le persone preziose, avevo paura che si consumasse, o se ne andasse, sempre troppo presto. Bisognava parlarne). Ma tu che cazzo ne devi sapere. Per esempio. Sai che ieri una ragazza che una volta chiamavamo quella ragazza mi ha detto che proprio in questi giorni di otto anni fa avevamo fatto il primo, e ultimo, raduno di blogger di splinder, a Perugia? (Io ovviamente non ricordo la data, ma a lei gliel’ha detto l’algoritmo stalker di Facebook, dunque fidiamoci). Eravamo a casa di una delle mie eroine dell’epoca, quando ancora non avevamo cambiato regioni, stati, paesi e continenti: ci eravamo visti, detti Ahhhh sei tu, avevamo mangiato, bevuto, raccontato una seconda volta aneddoti che già ci eravamo letti a vicenda, e poi eravamo andati a dormire, prima di uscire il giorno dopo e farci le foto all’antica. Di quei due giorni la cosa che mi è rimasta più impressa (almeno la prima che mi è venuta in mente ieri) è il paio di infradito blu con un surf disegnato sopra e che mi ero portato, malgrado fosse gennaio, per fare non dico la figura del fico ma almeno non quella del nerd che per tanto tempo avevo sperato di non essere. Raduni, splinder, ma che cazzo ne devi sapere tu.

The Bold and the beautiful

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Qualche settimana fa Robert King ha dichiarato che questa ma-che-dico-magnifica settima stagione sarà l’ultima in cui lui e sua moglie faranno gli showrunner. Per loro, la faccenda si chiude qua. Dunque la cosa dei titoli non era un finto spoiler di bassa lega come quelli che fanno, buh, a The Affair, ma una cosa meditata, spregiudicata, talmente alla luce del sole che, in confronto, l’antipatia devastatrice tra Julianna Margulies e Archie Panjabi è passata sotto silenzio (ma un giorno scadrà quell’accordo che avete firmato per non dirci niente e la verità verrà fuori, e quel giorno vi verremo a cercare, disgraziate). One-word-title, in questa stagione, roba da non crederci. Facile, più facile di così si muore. “No, non faremo morire Alicia”, dicono loro, perché “altrimenti non ci potrebbe essere un’ottava stagione”. Wait, what?  Potrebbe esserci, già. Nel caso, i King rimarrebbero “in a supervisory role“. Uhm. Not. Cool. E la Cbs rovinerà l’unica cosa buona che hanno in casa da parecchi lustri. Not. Not. Cool.

Mamma perché oggi parli con la voce di pazza?

Alicia

E quindi, mentre Alicia separava con cura omicida i piatti del corredo di sua suocera da quelli comprati all’Esselunga; mentre ad ogni intro di ogni episodio rispolveravamo i cori da stadio “Vince Gilligan uno di noi”; mentre il mio whatsapp si rompeva all’apparizione di Jeffrey Dean Morgan appoggiato allo stipo del pianerottolo (“Hai visto, tornò Denny Duquette!” “Ma era Danny o Denny?” “Boh, di sicuro bono era, e bono rimase” “Will chi?”); mentre la figlia Grazia passava da sentinella in piedi a Ragazza in Gambissima 2015/2016; mentre riflettevo pensoso sulla parabola del personaggio di Eli Gold (“uhm, mi sa che a fine stagione se ne va”); mentre venivano scritte altre mirabolanti pagine di “Come fare della porta di un appartamento di un condominio di Chicago la migliore attrice protagonista di tutti i tempi”, ecco, mentre tutto questo accadeva Julianna Margulies preparava queste parole da pronunciare, sì, sono state pronunciate: “Siccome da aprile sarò disoccupata”.

Vediamo. Da dove comincio?

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Il primo scenario vede Julianna Margulies ammettere di aver fatto la cretina (“Era uno scherzo, non l’avevate capito?”) e dunque la nostra serie preferita in mano a degli sconosciuti e, dunque, un pugno di episodi malscritti di cui non ce ne frega niente. Il secondo scenario vede la nostra serie preferita con un altro titolo (“And what is The Good Wife without…The Good Wife?” si chiedono su Vulture). Il terzo scenario vede una spregiudicata operazione di recasting stile daytime  (“Da oggi il personaggio di Alicia Florrick sarà interpretato da… Ridge Forrester”). Il quarto, semplicemente, non c’è, perché non credo di volerne sapere più niente. Se i King dicono che per loro finisce qua, anche per me finisce qua, con questo pugno di episodi da una sola parola. Non farò certo la fine di chi dopo dieci anni ancora va in giro urlando “Hanno cacciato Amy Sherman-Palladino da Gilmore Girls!” (“Guarda che se ne è andata lei”),  per poi svegliarmi nel cuore della notte sognando l’ennesima reunion in cui gli attori, ormai col conto corrente al lumicino, si faranno pagare  un dollaro ad autografo.

Vedi, caro millennial, tu queste cose non le sai perché quando noi scaricavamo i primi torrent tu ancora non ti stavi facendo selfie del cazzo (letteralmente), e mentre noi ritoccavamo con Paintbrush le foto del Pirellone tu ti stavi definendo “fluido” alla domanda che peraltro nessuno ti aveva posto: quindi non sai che il bello di aver conosciuto i telefilm di Italia Uno e Raidue prima, e la golden age delle serie, quella vera, dopo, è che noi ce ne faremo una ragione. Pure se Julianna dovesse restare, e Alicia a quel punto diventasse, che so, la capa della resistenza anti-alieni, o se pure Diane, Marissa e Lucca fossero le protagoniste dello spin-off Diane, Marissa e Lucca per le strade di Chicago, ecco, niente potrà farci dimenticare le notti magiche, gli shock, gli appunti presi a paginate ricopiando intere battute, la felicità di poter liberamente dire

The Good Wife è la serie più sottovalutata degli anni Dieci”
“Ma parla di avvocati”
“Avvocati ce sarai te e tre quarti daha palazzina tua”
“Se solo andasse in onda sul cable”
“O se quei fighetti insopportabili la smettessero di frignare rimpiagendo The West Wing
“Tu non la smetti di frignare rimpiangendo Lost
“Mi confondi con qualcun altro”
“Guarda che lo so che ti stai spizzando alla moviola Colony frame dopo frame sperando di trovarci un cameo di Nikki e Paulo”

Una volta avrei piagnucolato “i miei lunedì non saranno più gli stessi”, una volta, quando avevo ancora giorni della settimana da usare per rimpiangere i bei tempi andati delle serie che mi fecero il cuore a brandelli andandosene così, come se non fosse stato mai amore. Caro millennial, la tua soglia di attenzione ti ha già spedito altrove alla fine del primo capoverso di questo post, ma se proprio insisti ti faccio l’elenco di queste serie, allora:

One Reply to “L’unica serie in cui la protagonista era una porta”

  1. mi delurko dopo mooolto tempo che ti leggo, solo per dirti che bello tornare a leggerti. mi mancavano i tuoi commenti salaci e sagaci su serie tv e bel mondo vario, unito ai consigli sulle belle cose francesi (grazie per le revenants- ben prima che sky se ne accorgesse- e valerie donzelli!!), che qui le cose d’oltralpe arrivano con due anni di ritardo, se arrivano..

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