Ho rivisto Steaua-Dinamo del 1988. Al cinema.

Corneliu Porumboiu è un regista rumeno di quelli che vanno ai festival, adorato dai critici (specie se francesi): piani sequenza lunghissimi, dialoghi ridotti all’osso, tanti silenzi e “non succede mai niente”. I suoi film sono riflessioni sulla vita, sulla politica, sulle relazioni di coppia. Sulla mise en scène. Personaggi/attori che parlano di registi e attrici, per esempio di Antonioni e Monica Vitti (“Non conosci Monica Vitti?” “No, chi è?”). In Métabolisme ou quand le soir tombe sur Bucarest, il “film nel film” diventa una endoscopia digestiva filmata live, mentre la produttrice del “film nel film” accusa il regista di manipolare la realtà. Mise en abyme a cerchi concentrici infiniti da far venire la labirintite: pane per i denti di cinefili incalliti e fieramente pretenziosi.

 

 

Affiche_Match_Retour Il padre di Corneliu, Adrian Porumboiu, è stato un arbitro internazionale ai tempi della Romania di Ceaușescu. Un giorno Corneliu vede in tv uno spezzone di un derby tra Steaua Bucarest e Dinamo Bucarest, giocata il 3 dicembre del 1988 e arbitrata proprio dal padre. Chiama quelli della tv e si fa dare il nastro. Poi va a casa e riguarda un paio di volte la partita assieme al padre. Registra i commenti ad alta voce e ci fa un film. Match Retour (The Second Game). Scompare l’audio originale, nessun rumore di fondo dello stadio, dei tifosi o del pallone. Solo le voci di un padre ex arbitro e di un figlio regista che commentano una partita in cui non succede niente, “esattamente come nei miei film”.

 

 

 

Si parte con un esergo. Corneliu ha una decina d’anni quando riceve una telefonata in cui minacciano di morte il padre. Sono anni complicati, in cui circolano dossier segreti su tutti gli arbitri dei campionati rumeni. Strumenti di ricatto: “Ma lui ha continuato ad arbitrare come se nulla fosse”. Prima del match Steaua-Dinamo, Porumboiu-padre viene contattato da intermediari di entrambe le squadre. Denuncia subito tutto alla Federazione Rumena: “Non per vantarmi, ma non ho mai avuto alcun problema con nessuno, io”.

 

 

Steaua

Dinamo

 

 

Inizia il match. Nevica da ore, ma il campo è tutto sommato agibile. La Steaua è penalizzata perché è una squadra più tecnica, ci sono Hagi, Lacatus e Petrescu. La Dinamo è più fisica e ha più voglia di vincere (“Sicuramente erano indietro in classifica, come sempre”). Il canovaccio di Porumboiu-figlio prevede un commento con taglio politico. Siamo nel 1988, a un anno dalla caduta della dittatura, e in campo ci sono la squadra dell’esercito (Steaua) e della polizia segreta (Dinamo). Sono gli anni in cui al minimo accenno di rissa in campo, la regia stacca sul pubblico in tribuna: “Non erano ammessi cattivi esempi da dare agli spettatori”. Soprattutto, le inquadrature in campo sono sempre molto larghe perché non si deve dare spazio a divismi e protagonismi. Nessun giocatore può essere una star.

 

Intanto in sovrimpressione compaiono i risultati parziali di altre partite. Oscuri nomi di oscure squadre satellite, o di squadre che le italiane incontreranno nella coppa Intertoto o persino in Champions. Porumboiu-padre si annoia, anche a riguardare se stesso in campo. In sottofondo sentiamo l’iPhone che squilla, messaggi mandati e ricevuti, chiamate senza e con risposta (“Sì, ci sentiamo dopo”). Il figlio pone delle domande e il padre non risponde. Seguono lunghi minuti di silenzio, a corredo di una nevicata sempre più fitta e di azioni da gioco prese da lontano, in cui non si riconosce nemmeno il più famoso, un poco più che ventenne Gheorghe Hagi. Azioni che non portano a nessun tiro in porta. “Non capisco che stiamo facendo” dice Porumboiu-padre. “Questa partita non interessa a nessuno. Il calcio è una cosa effimera, si consuma sul momento. Prendi per esempio i giocatori come Ronaldinho. Quando giocava aveva addosso l’attenzione di tutti, ora nessuno si ricorda di lui”.

 

Fine primo tempo.

 

 

Arbitro

 

 

Le squadre tornano in campo. La Dinamo adesso ha le maglie blu. Porumboiu-figlio chiede se era una cosa usuale. “Non avevano magliette bianche pulite di riserva. Tutto qua. All’epoca bastava comunicare all’arbitro il cambio delle maglie e il nuovo colore”. Adesso nevica un po’ di meno, il campo è un impasto di fango scuro nei punti in cui si gioca di più, ovvero a centrocampo. Porumboiu-padre, a poco a poco, si appassiona nel rivedersi: impeccabile, regale, autorevole. Porumboiu-figlio prova a farsi spiegare i ‘movimenti di un arbitro in campo’. Ma Porumboiu-padre è interessato a una sola cosa: le regole del gioco. Come sono cambiate, quanto sono cambiate. Il retropassaggio al portiere, che oggi non si può più prendere con le mani. Soprattutto, la regola del vantaggio.

 

In questo derby in cui non succede niente, Porumboiu-padre lascia molto giocare e concede molto spesso il vantaggio. In una Romania in cui tutto è controllato ossessivamente, in cui le partite di calcio sono già decise, in cui gli arbitri sono tenuti in scacco e minacciati di morte, Porumboiu-padre rivendica per sé questo incredibile spazio di libertà. Il vantaggio, ovvero l’arbitrio di lasciar continuare un’azione di gioco non fischiando una punizione: “Oggi si può tornare indietro se l’azione non si concretizza. All’epoca no”. All’epoca rimanevano, nel caso, i rimpianti (dell’arbitro) e le proteste (dei giocatori). Porumboiu-figlio gli chiede se, rivedendosi, si pente delle decisioni prese sul momento, ad esempio questa entrata da dietro lasciata correre. “Era solo un contrasto, mica potevo buttarlo fuori”, risponde piccatamente. Ma il fastidio dura poco. Qualche minuto dopo è lui a chiedere al figlio se possono tornare indietro col nastro e riguardare una gran bella scena di gioco. Il calcio sarà pure una cosa effimera, ma guarda quel tiro.

 

 

Second_Game_5

 

 

Ricomincia a nevicare, gli allenatori Lucescu e Iordanescu fanno qualche sostituzione, entra un giovanissimo Răducioiu, ma la sostanza non cambia. Questa partita è destinata a rimanere inviolata, candida come la neve, come il silenzio, come il vuoto astratto in cui padre, figlio e spettatori piombano, senza rendersene conto. I giocatori si eclissano, il bianco invade e terrorizza il grande schermo.

 

La partita finisce, Adrian e Corneliu non hanno più niente da dirsi, in fin dei conti tra fare il regista di film e l’arbitro di partite non ci sono poi tutte queste differenze. I titoli di coda sono i risultati degli altri incontri del campionato rumeno di serie A, in sottofondo l’inverno, quello di Vivaldi, durerà ancora un altro anno. E poi cambierà tutto. Il calcio no, rimarrà sempre lo stesso, anno dopo anno, partita dopo partita. In fin dei conti, a chi vuoi che interessi il calcio.

 

 

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