Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate a Torino Porta Susa

SusaÈ agosto, un giorno qualsiasi. Sono le 15h50. Arrivo a Torino Porta Susa. Il binario è il 5. O il 6. Non importa. Tra poco meno di due ore devo prendere il treno per Paris Gare de Lyon. Ho del tempo da perdere. Un panino, una pisciatina, insomma le solite cose, mica grosse pretese. Sono carico come un mulo. I bagagli, normali. E poi una valigiona da venti chili chilo più chilo meno, piena di libri. Mi ero detto Tanto, devo prendere il treno. Esco dal binario. La scala, che non è mobile, mi porta in un corridoio in cui tutto è grigio e freddo come un ospedale che qualcuno non ha finito di costruire. Mi imbatto in un cartello. Il cartello fa segni strani, tipo Exit, Corso Inghilterra, cose così. E poi frecce. Frecce a destra, frecce a sinistra, frecce circolari, frecce a muzzo, frecce a cazzo. Seguo la freccia vicina alla parola Exit. Io sono abituato che le stazioni del mondo hanno i binari poi esci dai binari c’è un atrio, uno slargo, uno spiazzo, un cazzo, qualsiasi cosa. Torino Porta Susa no, Torino Porta Susa è speciale.

Alla fine della scala, un’altra, che non è mobile, manco questa, vengo sbalzato, io, le valigie e i libri, da un’ondata di caldazza come se tutte le casalinghe di Torino avessero dimenticato il forno acceso dal 1974. Esco fuori e scopro che l’Exit altro non era che una volgarissima Uscita Su Strada Tipo Metro. Faccio dieci metri a destra. Niente. Altri dieci a sinistra. Niente. Sono su Corso Inghilterra? Chi può dirlo. In giro non c’è un’anima. Il tabellone di una farmacia dice 41. 41 gradi. Di Torino Porta Susa manco l’ombra. Forse sono finito in un universo parallelo. L’universo in cui Torino Porta Susa non esiste. Non sarebbe male. Ma purtroppo non c’è alcun universo parallelo. Torno sui miei passi. Scendo la scala e trovo un ascensore. Chiamo l’ascensore. Entro nell’ascensore. Nell’ascensore ci sono tre tasti: il tasto 0 e il tasto -1 e il tasto APRILEPORTE. Pigio il tasto -1. Nell’ascensore c’è fresco. Meglio, il sudore mi si appiccica con più affetto alla polo. Esco dall’ascensore. Sono al binario. Il binario è quello da cui sono sceso poco fa. Possibile? Mi sento un puntino inseguito da un cursore, tipo Pac-man. Ma io non sono Pac-man. Ci fosse qualcuno a cui chiedere, chiederei. Di solito nelle stazioni c’è sempre qualcuno a cui chiedere. Ma a Torino Porta Susa No, Torino Porta Susa è speciale. Non c’è nessuno a cui chiedere. La verità è che Torino Porta Susa sembra caduta nel buco di culo del mondo. E io ci sono dentro con tutte le scarpe.

Risalgo la scala, che è sempre non mobile. Con tutto quello che comportano le scale non mobili. Maledico i libri e quando i miei genitori hanno provveduto a quella borghese consuetudine che risponde al nome di alfabetizzazione. Era meglio se mi mandavano a zappare la terra. A quest’ora avrei un lavoro a tempo indeterminato. E di sicuro non mi trascinerei dietro questi cazzo di libri. Mi ritrovo davanti al cartello di prima. Decido di seguire una freccia che fa un angolo, tipo quella che c’è sul tasto invio dei computer. Quindi giro a destra, poi a sinistra. Altra scala. La risalgo e questa volta mi dice bene. Vengo sputato su una colata di cemento alla cui destra c’è una rete metallica verde militare alta qualche metro. Da dietro la rete arrivano rumori di lavori in corso, tipo martelli pneumatici, vah. C’è sempre la stessa afazza a planare, per essere inchiodati qui, crocifissi al muro. Decido di andare dritto. Giro la curva e mi si para innanzi un uomo. Sui cinquanta, alto nella media, brutto nella media. Barcolla. Ma, soprattutto, DALLA BOCCA GLI COLA DELLA BAVA GIALLASTRA. Mi guarda e mi urla: SPARAMI, ORA! Scrollo le spalle: Ehi amico, sei davvero ridotto male! Se avessi una pistola, ti sparerei, giuro, ma mi sa che è il tuo giorno sfortunato. Lo scanso facendo la stessa faccia di quella volta che vidi un facocero morto. Lui mi manda a quel paese, me, Torino Porta Susa e un paio di divinità a casaccio.

Eccomi in un corridoio. Alla mia destra trovo una scritta, a pennarello e maiuscolo: BAGNI. Mi avvicino, una bella pisciatina ci starebbe bene, a questo punto. Ma dalla porta mezza aperta fuoriesce una cascata d’acqua. Si sarà rotta una tubatura. Vorrei avvertire qualcuno, poter dire Guardate che si stanno allagando i cessi! Ma, come al solito, non c’è nessuno in giro. Sto diventando noioso? Forse, ma vorrei vedere voi. Comunque, altri tre metri e altro cartello: PER LA STAZIONE DI LA’. Finalmente, e sottolineo finalmente, trovo l’atrio. Poco più piccolo del salone di mia nonna parlandone da viva. Della gente in fila, della gente dietro il vetro che emette biglietti. Scenario familiare. Questa, questa è Torino Porta Susa. Un attimo, ma se questa è Torino Porta Susa, quella di prima che minchia era? Semplice, la SUCCURSALE. Come non averci pensato prima. Che illuminazione. Ci fosse una cappella andrei di filato a pregare per suggellare questo momento. Ma l’unica cosa che scorgo è un bar. Bar. Parola grossa. Un bar infilato in uno sgabuzzino. Un bar i cui unici generi di conforto sono stati vomitati e rassemblati da un cieco ubriaco. Ma ho fame, anzi sto morendo di fame. E, tra tutti i posti in cui voglio morire, certamente non c’è Porta Susa. Il barista mi guarda. Gli dico Quello, indicando un panino che si sta muovendo. Da solo. Prendo il portafogli e mi accorgo, sono cose della vita, sono umane condizioni, vanno prese un po’ così, di non avere un euro. No, manco gli spiccetti, se ve lo state chiedendo. Guardo il barista, immobile nella posizione di prima, gli dico Vado un attimo a prelevare, mi tenga il panino da parte. Il barista continua a fissarmi. Faccio un cenno con la mano come se stessi pulendo un vetro sporco di merda: No guardi, lasci perdere, se lo tenga.

Esco. Aria aperta. Dei tram, delle macchine. Ah, quindi le fanno ancora le macchine, a Torino. Rapido check visivo della piazza. Nessuna banca all’orizzonte. Torno dentro. L’atrio della stazione è quello che è. Anche qui, potrebbe essere il giorno dell’Unità d’Italia e non cambierebbe nulla. Ah no, c’è un’edicola. Appesi alla vetrina dei giornali. Rumeni. Lo capisco perché su uno c’è scritto BUCURESTI. Mi avvicino. Guardo l’edicolante: Scusi, MA UN BANCOMAT? Lui mi guarda, esita, forse il mio sudore a fiotti lo impressiona, o forse il cartello che ho scritto poco fa e che mi sono appuntato sulla polo: TORINO PORTA SUSA SUCA. Due secondi di pausa, poi mi fa: Lì, vicino all’armeria, e tende il dito indice buttato verso l’infinito. Seguo il dito, non sta indicando la luna, su cui tra l’altro vorrei mandarlo a calci in culo, lui simbolo di un’arretratezza oscura come la pece. Piuttosto indica un puntino all’orizzonte, ovviamente il puntino più lontano da dove siamo adesso. Mi armo di forza e coraggio. Carico come un mulo cocciuto che non sa ancora se ci sarà un domani, attraverso la piazza. Arrivo davanti all’armeria. Pistole, fucili, bombe a mano. Ripenso all’uomo di prima che voleva essere sparato. Vorrei entrare e fare una rapina, ma mi pare fuori luogo. Non voglio finire sul giornale di domani sotto al titolo UOMO MOLTO ABBRONZATO, FORSE MAROCCHINO, RAPINA UN’ARMERIA. MA ERA DISARMATO. Scaccio il pensiero come una mosca impertinente, cerco il bancomat. Non c’è nessun bancomat. Provo a fare il giro dell’isolato. Niente. Incrocio un panificio. Entro nel panificio. Il panettiere esce dal retro, mi viene incontro e mi fa: Ancora cinque minuti, il pane sta uscendo dal forno. MA SAI DOVE PUOI METTERTELO IL TUO CAZZO DI FORNO, STRONZO? DIMMI SUBITO DOVE POSSO TROVARE UN CAZZO DI BANCOMAT CHE M’AVETE GIA’ ROTTO I COGLIONI TU, IL TUO PANE DI MERDA E TORINO PORTA SUSA.

***

Alla fine ho prelevato, sì, non ho preso il panino, ma un kinder bueno da una macchinetta automatica trovata per caso. Rinvigorito da tutti quegli zuccheri mi sono fatto il percorso all’indietro e ora sono al binario 3 della Succursale di Porta Susa. Sono seduto. Tra venti minuti arriva il treno che mi riporta nella civiltà. Parigi. Due posti più in là ci sta un vecchio. Sta facendo un cruciverba. Dice che è venuto qua a prendersi un poco di fresco. Ah, ecco a che serve Torino Porta Susa, penso. Torino Porta Susa is the new Giardinetti. Io sono talmente sudato che con tutti i liquidi che ho prodotto potrei avere scoperto una nuova forma di energia alternativa. Mi ci vorrebbe una doccia. Ma nella succursale di Torino Porta Susa non c’è manco un bagno, figuriamoci. Apro la valigia e cerco dei vestiti puliti. Mi tolgo quelli sudati. Rimango in mutande. Vorrei cambiarmi anche quelle ma mi pare male, chi lo conosce, questo vecchio. Mentre mi rivesto, il vecchio borbotta qualcosa. Senza distogliere gli occhi dalla settimana enigmistica mi fa: 14 orizzontale, celebre passo che apre il terzo canto dell’inferno, venti lettere. Lo guardo, penso che quando sarò vecchio io non la voglio fare questa fine di venire a prendermi il fresco a Torino Porta Susa. Torino Porta Nuova magari magari, ma Torino Porta Susa proprio no. Gli dico: Veda se ci sta Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate a Torino Porta Susa, e se non ci sta, beh, lei ce lo faccia stare lo stesso.

-FINE-

Agli amici torinesi e piemontesi che con tanto affetto mi leggono: anche io vi voglio bene, amici, non ce l’ho con voi. È un affare tra me e Torino Porta Susa. Mi frega davvero immensi cazzi che la stanno rifacendo eccetera. Io un’assurdità come quell’accrocchio non l’ho mai vissuta in vita mia. Ho visto gente morirci, quel giorno d’afazza a Torino Porta Susa! E io ci sono andato vicino! Roba da non crederci! Torino Porta Susa!
Agli amici meridionali: carissimi, quando una qualsiasi gente di Piemonte con spocchia saputella vi dirà dall’alto in basso Ah ma certo che i mezzi di trasporto siciliani!, Ah ma certo che la Campania!, Ah ma certo che in Calabria!, voi, con i poteri conferitimi dalla Legge, avete il dovere di umiliarli con sette semplici paroline: Ma stai zitto tu Torino Porta Susa.
A tutti:
chiarisco che l’edicolante e il barista sono stati inventati a puri fini narrativi. Anche lo zombie non esiste. Tutto il resto, e cioè che Torino Porta Susa, nel 2011, non ha un bancomat in tutta la stazione, neppure un bagno né altri generi di conforto in quella che qui viene chiamata la Succursale, beh, quello purtroppo è tutto vero.

16 Replies to “Lasciate ogni speranza, voi ch’entrate a Torino Porta Susa”

  1. Oh, mi son perso pure io a Porta Suca. Bentrovato TFM.

    P.

  2. LOL!!!

    Ci passo almeno una volta a settimana da Porta Susa, anche due ore fa ero lì. Ti capisco e ti stimo per aver avuto il coraggio di dire forte quello che tutti (o per lo meno io) pensano! 😉

    New_AMZ

  3. *P: bentrovato a te. Meno male, pensavo che io e gli zombie di quel giorno eravamo gli unici

    *New: e meno male pure qui, che magari gli autoctoni (o quelli di zona, come te se non sbaglio) si offendevano (o si offenderanno, chi può dirlo)

  4. haha ma te sei tipo il guybrush threepwood dei trasporti diterradimare edell'aria.. se non fossi a contenuto meridionale 50% minimo, non me la riderei così tanto.. torino porta suca mi manca, però già essere stati a firenze rifredi o campo di marte è come averla vissuta in miniatura. trovo che questo post abbia qualcosa in comune con quest'altro..

  5. Povero tieffemino, povero. No dai che noi sabaudi non si è cosí permalosi. E poi Torino Porta Susa va capita e domata col tempo. O apprezzata in quanto opera dadaista. Comunque sei sicuro che in realtà non eri a Beirut?

    ilgeegee

  6. TFM, se per zona intendi l'upper Po, allora ci sto dentro. Se non ricordo male, a un certo punto, nel girovagare, mi trovai a percorrere un marciapiede con a lato i binari, poi un muro, e oltre il muro si intravedeva la città. Vicina e irraggiungibile. Tipo universo parallelo. Ma noi nordici si è talmente abituati che qui tutto va bene, che l'ultima cosa è ammettere che trattasi di stazione del minchia. Così ce la prendiamo con noi stessi e il nostro senso del disorientamento. 

    p.

  7. Anche io mi sono persa, a Torino Porta Susa.
    Una sera di mesi fa, quando uscendo dalla stazione finii in culo al mondo da via laterale (che non avevo inseguito) e cercavo la piazza e non la trovavo e mi sentivo cretina, perche' io sapevo che c'era una piazza un tempo!
    Dopo peregrinaggio infinito fui raccattata da amici e maledissi i lavori di rinnovamento di stocazzo.
    Poi ok, io mi perdo ovunque, ma Porta Susa e' peggio.

    stima.

    ALDF

  8. NNNnooooooOOoOOo l'edicolante e il barista non era vero!!
    Ma sono perplesso.
    Nel senso, il tizio sbavante volevo chiedertelo se era vero o no, perché mi pareva strano. E anche del cambiarsi in mutande sul binario. Ma non ho capito qual era l'esigenza di inventarsi questi personaggi. A volte la realtà è abbastanza surreale (gh) di suo.

    Falloppio: LOL. La nuova frontiera è il ponte Palermo-Genova.

    Clem

  9. Paura. Ma perché non Porta Nuova? Vabbé che anche lì…. (ci son tanti di quei barboni che secondo me son delle comparse). O Milano Centrale? Con tutte quelle scale mobili in diagonale che ti allungano la meta di mezz'ora lasciandoti sadicamente vedere il treno che parte.

  10. *Quad: ah ecco

    *Dors: ecco, non andarci MAI

    *Geegee: ah beh se era DADA è venuta male

    P: stazioni del minchia, mi piace

    *Aldf: Porta Susa È Peggio, mi piace pure questa

    *Clem: in mutande ci sono rimasto, quello è vero

    *Belg: Milano Centrale DEPRE

  11. Ma quindi le cose che scrivi non sono sempre vere! Anche quando hai raccontato dell'aereo con il gatto Refolo e la vecchia in fuga era inventato?
    Emy

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