La pizza sicula, il centro commerciale, la birra del conad daha tiburtina: sempre e comunque tutta una questione di ‘taliàte’

sono in questo paesino dell’entroterra siciliano. è sabato sera. niente da fare. voglio una pizza. i lampioni hanno questa luce arancione che illumina le palazzine a tre piani.
‘prego’. ‘ehm vorrei una pizza prosciutto e mozzarella, senza pomodoro’. ‘una margherita con prosciutto?’ ‘ehm sì, se voi avete l’abitudine di fare la margherita senza pomodoro, sì. altrimenti una margherita senza pomodoro con prosciutto.’ ‘allora una biancaneve con prosciutto’ ‘…’
c’è da attendere mezzora almeno, ha detto la graziooosa signorina con i capelli unti a coda di cavallo mentre sistemava il pizzino con le ordinazioni sul banco del forno a legna. siamo in una pizzeria da asporto, i clienti in fila, tanto silenzio e tante taliate. nessuno mi conosce, nessuno sa chi io sia. e quindi sono taliato. aspetto fuori. penso. cerco un po’ di fresco. cerco nuovo fresco nella confusione. dei pensieri. del nulla.
tre anziani sono seduti attorno ad un tavolino bianco di plastica. due tipi sulla trentina con una spiccata panza bofonchiano a mezza voce. alcuni bambini girano sul marciapiede davanti alla pizzeria sulle loro bici. non c’è un essere umano femminile nel raggio di un paio di chilometri -a parte la cassiera-. sono le nove e mezza di sera. arriva una citroen c3. scende un ragazzo. sulla ventina. in mano tiene un pacchetto di sigarette, un accendino, l’autoradio e la chiavi della macchina. è abbronzato. magrissimo. porta una camicia bianca attillata che gli fascia i fianchi inesistenti. i jeans a vita bassa e stretti stretti stretti alle caviglie. ha la crestina bionda. lo guardo. qualcosa non torna. l’occhio mi cade sulle sue braccia. sono sottilissime. impressione, questo mi fanno. impressione. il ragazzo entra nella pizzeria apre il frigorifero che c’è all’ingresso, prende una bottiglia di birra. non paga. non dice. non parla. torna fuori sul marciapiede. appoggia la birra sul davanzale di una finestra chiusa. beve a canna. i vecchi non lo guardano ma lo guardano. i tipi sulla trentina anche. i bambini con le bici gli si fanno attorno. il ragazzo dalle braccia sottilissime si mette a scherzare con i bambini. hanno confidenza, si vede. da dentro la pizzeria la cassiera urla ‘due capriccioooose e due diavoooole’.
i vecchi distolgono lo sguardo. i tipi con la panza e sulla trentina si fiondano dentro escono con i cartoni in mano mettono in moto se ne vanno. il ragazzo sottilissimo adesso ha in mano alcuni bicchieri di plastica. li riempie di birra. li appoggia sul davanzale. sorride. un bambino esita un attimo, un piede per terra un piede sul pedale destro e le mani sul manubrio. poi appoggia anche l’altro piede, sempre incastrato dentro la bici così più grande di lui. si sporge. prende il bicchiere in mano. lo guarda dentro come a volerci trovare il tesoro più luccicante del mondo. se lo porta alle labbra. si volta verso di me. mi talìa. lo talìo. ci taliàmo. si porta il bicchiere alla labbra. lo beve d’un fiato.


‘scusi, signorinah! mi sa dire quanto costa questo pacco di batterie?’ ‘che ne so io. guardi, lì, più avanti, accanto allo scaffale degli assorbenti c’è l’affare per leggere i prezzi’ ‘ah grazie’.
sono in questo centro commerciale. è domenica. e l’affare per leggere i prezzi non funziona. almeno credo. stendo il codice a barre. ma niente. ‘che, per caso non funziona?’. un bambino. tipo settenne. ha in mano un giocattolo. lo guardo. lo ignoro. passo il codice a barre. ‘che, non funziona? provo ioh!’. dice. ‘bambino, te l’hanno insegnata l’educazione? aspetta il tuo turno’. ‘ma se non te la fidi…’. ‘senti bambino scassaminchiah! io me la fido benissimo’ ‘…’
un minuto dopo. il codice a barre langue silente. ‘ancora qua sei?’ gli dico. ‘devo vedere quanto costa il giocattolo. sennò mio padre nommelocompra’. dice lui. pausa. lui mi talìa. io lo talìo. ci taliamo.  ‘MADONNASANTAH! Mi stai mettendo un’ansiaah! CAZZO VUOI, bambino scassaminchiah? ti hanno mandato qui per farmi venire l’esaurimento nervoso? ma vai a giocare con gli altri tuoi simili, vattene un po’ in giro, vattene anche un po’ affanculoh!’ ‘ora chiamo a mio padre e vediamo a chi ce lo dici vaffanculoh!’

***

‘scusi posso entrare?’. l’enorme cartello del conad daha tiburtina dice APERTI DALLE 8 ALLE 2130. Ma sono le 2118 e l’ingresso è chiuso. così mi affaccio alle casse. il tipo delle casse mi fissa. due rumeni arrivano di gran carriera e senza se e senza ma si fiondano dentro passandomi proprio accanto. il cassiere mi lancia un’occhiata del tipo ‘vedi che devi fare e datte ‘na mossa’. sono affamato. mi muovo con il trolley tra gli scaffali. arraffo due panini alle olive in un sacchetto di plastica. una lattina di birra. un pacco di pasta. una busta di insalat- ‘che, c’hai cinquanta centesimi che mi sono finiti i soldi?’ un barbone. ‘scusa, vado di fretta’. che stavo pensando? ah sì. un pacco di formaggio grattugiato. sulla confezione c’è scritto ‘pecorissimo’. bene, mi farò una pasta olio e pecorissimo. alle casse il barbone reitera. sbuffo. pago. mi dirigo verso la metro. oblitero. dall’altra parte della banchina sento il rumore inconfondibile della metro, la mia metro che is arrivando. caracollo verso la scala mobile. farò prima. scendo a tre a tre. ma a metà c’è un uomo fermo. occupa in larghezza tutto lo spazio. ‘scusi?’ nulla. ‘scusi, mi fa passare peppiacere? devo prendere la met-‘ mi sporgo. l’uomo si sta scofanando un sandwich tonno e maionese. maionese is colando sul suo dito. il dito è sporco. è nero. la metro è arrivata. la sento. l’uomo si lecca il dito sporco di nero e maionese. in quel momento si volta verso di me. mi talìa. è il barbone di prima. sorride un sorriso di vendetta. distendo i nervi e i sensi. non mi farà mai passare. it’s ova. osservo di straforo i suoi baffi. un misto di maionese, tonno e schiumetta della birra. distolgo sguardo e pensieri. penso alle guerre e alle cose cattive. non devo, non posso. vomitare. arriviamo al fondo della scala mobile. lo sorpasso a destra. corro. la metro è lì. un passo ancora e. se ne va. mi accascio sui sedili. ‘prossimo treno: nove minuti’.

chiudo gli occhi. merda. li riapro. il barbone is venendo verso di me. stringo la mano sul trolley. si siede a due posti da me. dà l’ultimo morso al panino. tira fuori la lingua e si umetta bocca denti e baffi. perchè perchè perchè?
‘prossimo treno sei minuti’. tiro fuori la lattina di birra dal sacchetto. la apro. la porto alle labbra. il barbone mi talìa. io lo talìo. ci talìamo. anche lui ha una birra in mano. me la porge con un gesto ostentato come a dire ‘facciamo la pace’. io ricambio. gli porgo la mia. per un attimo ho la netta  sensazione che voglia anche fare un brindisi. questo no, questo mai. mi scolo la birra. tutta. ahhhhhh. lui fa lo stesso. sento la birra scorrere lungo l’esofago. guardo dinnanzi a me. nessuno. solo io e il barbone. un lunghissimo istante di silenzio. so cosa sta per succedere. sento l’aria fare su e giù impazzita dal mio stomaco andata e ritorno. non solum buuuuuuuuuuuuuurp sed etiam: brouuuuuuuuaaaaaaaagh. passo il dorso della mano sulla bocca. ahhhh. il barbone mi guarda. annuisce. come a darmi la sua benedizione. mi sorride. io sorrido. a mezza bocca. ‘ci voleva, ah come ci voleva’. dico. poi mi alzo. ‘prossimo treno: in arrivo.

11 Replies to “La pizza sicula, il centro commerciale, la birra del conad daha tiburtina: sempre e comunque tutta una questione di ‘taliàte’”

  1. miticoooo 🙂

    bisogna essere bravi per non raccontare niente e tenere l’attenzione dei lettori sospesa…

    sarà che i telefilm ti hanno fatto bene 🙂

  2. neanche una caviglia distorta sulle scale mobili…mah…

    stiui

  3. *scoglieraapiccosunonloso: ah dici che non ho raccontato ‘niente’? Strano, a me pareva il contrario 😉 Si vede che ho preso tutto da Lost!

    *Nur: taliare vuol dire ‘guardare’ ma in un modo tutto siculo. Purtroppo è impossibile da spiegare per iscritto. Dovrei fartelo vedere di persona o almeno spiegartelo a voce. Considera che in Sicilia quando uno talìa troppo -ci vuole il senso della misura- l’altro risponde: che ccci talii, ‘sta minchia?

    😉

    *Yet: la pensiamo uguale. se ho beninteso.

    *Stiuisssimo: ah, sapessi come è cambiata la mia vita.

  4. talia…….se penso che tra due settimane sarò a palermo….e tutti talieranno e chiederanno ” a chi appartengo” mi sento male…

  5. Quello che volevo dire è che riesci a far diventare un raccontio episodi normali che capitano nella vita di tutti.

    Poi non lo so se Lost è così…

  6. se aspiri ad un Paese Normale, basta cambiare paese…

    stiui

  7. pezzo divino. Adoro quando smadonni!

    CcomeC

  8. *inoke: bravissima. a chi appartengo? è uno dei motivi per cui sono fuggito a gambe levate. orrore.

    *Yet: mi piace molto l’aggettivo ‘sapido’. grazie.

    *Scogliera: ma sì avevo capito, ti prendevo in giro un po’. sai per iscritto non viene sempre bene. no in lost direi che non accade così 🙂

    *Stiui: per un paese grande ci vuole pennello grande.

    *CcomeC: negli smadonnamenti so di averti molto alleata 😉

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