L’asfalto bagnato 1×02: Linda mi salva la vita, l’autista apre la bussola, la suora mi usa violenza

PREVIOUSLY on TI-EF-EM: “Attenzione attenzione ultima chiamata per il passeggero Tieffemme: imbarco immediato all’uscita A14” / Il dottore mi ha guardato e ha detto: “Mi dispiace, il problema è più serio del previsto, dobbiamo ricoverarla qui in ospedale per accertamenti”/ “Secco, e tu che ci fai qui?” “Te lo dico dopo, adesso scappa, Tieffemme, e corri corri corri, c’è un losco figuro che ti segue!” / Il pilot per intero si trova qui.1×02 – Linda, l’autista, la suora

“Thè o caffellatte?”
Ho aperto gli occhi. Li ho chiusi. Li ho riaperti. Un omino vestito di bianco. Sorrideva. Ho guardato a destra. Ho guardato a sinistra. Nessun altro passeggero. Ho pensato Ma non eravamo atterrati? Ho sentito un pizzicorio. Un braccialetto bianco di carta attorno al mio polso. Ho cercato di focalizzare l’attenzione. I muri. I muri bianchi. La luce. La luce strana e ovattata. L’odore. Odore di disinfettante. Odore di pulito. Odore di malati. Odore di ospedale.
L’omino vestito di bianco ha scoperto il mio braccio. Ha sorriso. Fugacemente ha frizionato del cotone imbevuto di alcool in un punto ben preciso. Un punto con le vene. Mi è venuta in mente mia madre, che quando va a farsi le analisi del sangue ci rimane dodici ore che non le trovano mai le vene ed esce sempre piena di lividi e lacrime. Io no. L’omino si è voltato verso un carrellino di metallo. In quell’attimo mi sono accorto che nella stanza c’era un altro omino vestito di bianco. Trafficava davanti ad un altro carrellino di metallo. Cibo. Ha detto Buongiorno! e mi ha guardato, come aspettandosi una risposta. Io ho detto Ah, va bene una tazza di thè. Il primo omino ha preso a schicchere una siringa. Ha sorriso. Mi sono alzato leggermente dando un colpo di bacino. Lui ha sorriso. Ha puntato la siringa. Ha infilato la siringa nel braccio. Ho visto il sangue scivolare via dal mio corpo. Ho distolto lo sguardo, distratto dai movimenti del secondo omino. Stava versando l’acqua calda nella tazza. Poi ha preso una bustina rossa e l’ha messa sul piattino. Il primo omino ha versato il mio sangue in un flacone. Poi in un altro. E in un altro ancora. Ha preso delle etichette. Ha appiccicato le etichette sui flaconi. Ha guardato la mia cartella clinica. Ha scritto qualcosa. Ha rimesso a posto i flaconi. Mi ha guardato, ha sorriso, ha detto Ora puoi toglierlo, il cotone. Ho guardato il mio braccio. Il puntino rosso ha sbrodolato un altro po’. Il secondo omino ha messo sul vassoio una confezione monouso di fette biscottate, una vaschetta di marmellata e una di nutella. Ho pensato Tipo in albergo. Il secondo omino ha detto Ripasso tra un po’, buon appetito. E così dicendo ha aperto la porta, seguito a ruota dall’altro. Ho osservato la porta lentamente chiudersi. Si è chiusa. Sono rimasto solo.>>
La tipa dell’ufficio informazioni dell’aeroporto mi guardava, come se non avesse capito. Ho ripetuto, nel mio solito inglesazzo: Allora… potrebbe dirmi, di grazia, come faccio ad arrivare in città? Qua non si capisce niente! Non conosco la vostra lingua! Presto! Ho fretta! Ho fretta! Lei con molta calma ha aperto un cassetto sotto di sé e ha tirato fuori un depliant. Ho guardato il badge appuntato sul suo petto. Si chiamava Linda. Linda. Aveva gli occhi chiari e alcune rughe di espressione intorno agli occhi. Nella foto del badge aveva i capelli più lunghi. L’ho osservata. Mi sono immaginato il suo ritorno a casa, il bacio fugace alla compagna che aveva preparato la cena, la lettura della fiaba alla loro bambina e il racconto dell’adrenalinica giornata, lì, davanti al caminetto, con l’italiano tutto isterico che parlava una strana lingua e diceva sempre “Allora”, allargando le vocali in uno strano modo, e poi i baci, e le carezze, e l’italiano dalle vocali agitate che scompariva lentamente lasciando il posto all’amore.

Linda ha preso una matita, ha indicato una tabella piena di numeri e orari e prezzi e coincidenze. Scandendo ad una ad una le parole ha detto Da qui prendi un autobus, arrivi alla stazione di Vejle e da lì prendi un treno che ti porterà a destinazione. Ha chiuso il depliant, ha detto Non hai molto tempo, l’autobus parte tra pochi minuti. È già sulla banchina. E con il dito indice ha indicato la porta a vetri che ci separava dal mondo esterno. Ho detto Ahh. Ho inforcato lo zaino, ho chiesto a Linda Scusa, posso prenderlo questo? Lei ha accennato un sorriso del tipo Certo che puoi prendere il depliant, italiano confusionario, vai e non perderti nella tundra, mi raccomando, e ricorda che io sono sempre qui, ad aspettarti, 24 ore al giorno, per darti tutte le informazioni di cui hai bisogno, sempre e comunque qui mi troverai. Mi sono precipitato verso la porta a vetri automatica dell’aeroporto che mi ha subito inghiottito e infine sputato fuori. Una folata di vento supersonico mi ha fatto perdere l’equilibrio. Ho pensato Forse non dovevo mettermi i jeans. Ho preso a caracollare verso la banchina numero sette. L’autobus con scritto VEJLE stava partendo. Ho aperto la mano con tutto il palmo a mo’ di: aspetta! verso l’autista. Ma lui nulla. Mi sono piantato in mezzo all’asfalto. Lui si è fermato. Ho guardato il cielo. Stava nevicando. L’autista ci ha pensato un attimo, poi ha aperto la bussola. Ho detto Grazie. Sono andato a sedermi, in fondo. Sempre in fondo, come alle gite. Mi sono tolto il giubbotto. Fuori la neve esplodeva selvaggia. L’autobus ha circumnavigato l’aeroporto di Billund. Mi sono voltato verso la porta a vetri. Mi è parso di incrociare il volto serafico di Linda. Nel dubbio ho aperto la mano con tutto il palmo a mo’ di: ciao. Lei ha ricambiato il sorriso e no, non credo lo sapesse, ma mi aveva appena salvato la vita.

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Ho fatto il ruttino. Ho messo il vassoio sul comodino. Mi sono sporto verso il tavolo. Ho afferrato il telecomando. Ho acceso la televisione. Ho messo sul primo, c’era Roberta Capua che parlava con Marco Franzelli. Il volume mi dava fastidio. Troppo fastidio. L’ho tolto. Ho messo il televideo. Ore 7:47. Ho digitato la pagina 203. In quel momento qualcuno ha bussato alla porta. Almeno così ho creduto. Ho detto Avanti. È comparsa una suora. Mi sono coperto con il plaid, fino al mento. Ho pensato Nohhhh ci mancava la suora! Lei ha circumnavigato il mio letto, guardando a terra, come seguisse delle ipotetiche frecce ikea sul pavimento. Aveva in mano una cosa. Si è seduta alla mia sinistra. Non ha detto niente. Ha preso la mia mano. Ha detto Lo so. Lo so che stai soffrendo. Ma con il Suo aiuto ce la faremo. Io ho pensato Perché parla di sé in terza persona? Ha stretto ancor di più la mia mano. Ha chiuso gli occhi e ha preso a pregare. Prima piano piano, poi più forte. E ho capito. L’Ave Maria. Ho pensato Cazzo, potevano avvertirmi che veniva la suora così ripassavo la preghiera. Madre di Dio, prega per noi. Ho pensato Forse tutto questo è compreso nel pacchetto Ospedale del Sacro Cuore. Io non volevo pregare, ma se c’è una cosa che odio è deludere le aspettative delle suore che vengono a trovarmi al primo giorno di degenza. Così sono andato a rimorchio, ripetendo le parole finali di ogni verso. Tipo Morte. E tipo Amen.

La suora mi ha guardato. Ha tolto la presa della mano. Io ho pensato Oh finalmente. Poi ha preso quella cosa che teneva mezzo nascosta tra le pieghe della sua tonaca e me lo ha appoggiato sulla fronte. E poi sul cuore. Era un crocifisso. Ho pensato Mai dare troppa corda alle suore, dai loro un dito e vedi come si pigliano tutto il resto! Lei ha preso il crocifisso, ha farfugliato quattro parole senza senso, mi ha poggiato il crocifisso sulle labbra e ha urlato:

 BACIALO!

Ho strabuzzato gli occhi, facendo attenzione a non muovere le labbra e non cadere nel trappolone, poi ho allontanato il corpo contundente con la mano, mi sono spostato alla mia destra, alla ricerca del pulsantino da usare solo per le emergenze: Infermiera! Caposala! Dottore! Polizia! Mammaaaaaa! Mi stanno violentando! Ma il pulsante era lontano, troppo lontano. Ho aperto la mano con tutto il palmo a mo’ di: vade retro! Ma poi ho guardato la suora negli occhi. Era bellissima. Mi sono bloccato. Mi sono arreso. Ho detto Eccomi, sono tuo. Il mio corpo in sacrificio per te. Fai di me quel che vuoi, suora. Ti amo, suora! Ma lei è rimasta ferma, immobile. Impietrita. Ha sussurrato Non ti credo. Ma io pregherò lo stesso per te. Ora riposa. Io tornerò. E così dicendo se ne è andata, sempre con gli occhi bassi e sempre seguendo le frecce sul pavimento. Ho alzato lo sguardo verso la pagina 203 del televideo. La Juve era terza in classifica, ad un solo punto dalla Roma. Il Milan, come al solito, era primo. Ho guardato la finestra alla mia sinistra. Il sole stava facendosi largo tra le nuvole. Ho pensato Adesso basta, voglio uscire da qui. Sono sceso dal letto e ho cominciato a vestirmi. Ma in quell’istante si è aperta la porta.

12 Replies to “L’asfalto bagnato 1×02: Linda mi salva la vita, l’autista apre la bussola, la suora mi usa violenza”

  1. sì, ma mò non farci aspettare così tanto tempo dinuovo! io sono dipendente da questa cosa!

    con la suora mi sei sembrato abatantuono in “sballato gasato completamente fuso” con edvige fenech!

  2. *Desdie: no, no arriva presto la terza, i promise. Sai che non ho mai visto quel film che dici? Moho devo da scaricà o da vedè su utube.

  3. Le Linde, son contento di dirlo, sono una spanna meglio di tutte le altre.

    Tiefem narrativo, ti è andata bene! Pensa se tirava fuori un ROSARIO.

  4. un giorno caro tieffè, ti racconterò della mia confessione in terra di espagna con il prete espagnolo fatta in venespagnolo, e di una virgh che inizia, preoccupata delle barriere linguistiche, dicendo: “dunque, signor prete, anzi, El Cura, el vede, è diffisile, io ehm… non sono espagnola” e di El Cura sessantenne che mi guarda negli occhi e dice: “no te preocupes, somos todos hijos de Dios”



    😉

  5. mah, non è granchè, è uno quei filmetti di serie B, ma c’è se non sbaglio una scena del genere con la suora, che è decisamente conturbante!

    bravo, bravo, scrivi in fretta!

  6. *Quadrilatero: ah ma qui c’è del personal ma senza computer mi sa! Eh, se tirava fuori il rosario boh, però quando quella suora tirò fuori il crocifisso -perchè è successo DAVVERO- io mi credevo che mi finiva tipo nel Cattivo Tenente. Ed ho avuto DAVVERO paura.

    *Virghie: eh todos hijos de Dios, ammèmesa n’artra cosa ‘hijos de’.

    A proposito di Dio. OT. Battuta in un film recentemente visto.

    -credi in Dio?

    -Mi fido

  7. (ti prego di non odiarmi ma ti ho coinvolto in una catena).

    figa sta cosa, sembra una puntata di x files.

  8. *Desdie: sono conturbante come i film di serie b uahhhhhhhhhhhh

    *Ari: dai non ti odio, mettiamoci una x sopra

    *Nuria: guarda è da stamattina che chiamo, ma è sempre occupato! Non è che tu hai il numero del boss dell’HBO? Lo chiami per me? Se gli dici che sono palermitano e ‘mezzo’ amico di TonySoprano magari mi fa passare avanti di 200 milioni di script 😉

  9. Bella la battuta do filme, comunque su Linda dondolo la testa a mo’ di dissenso: possibile che quando una e’ nordica e bionda e non sembra attratta dal fascino mediterraneo subito si debba pensare che sia lesbica???? non te la da e punto ( e scusa per la bassa lega del lessico finale, ma sai, volevo avere per un attimo l’impressione che la lega fosse bassa)

  10. *Virgh: mi dispiace ma mi sa che non hai colto -colpa mia- Non era assolutamente quello il senso e io non sono assolutamente quel tipo di matematico per cui 1+1 per forza deve essere 2. La prossima volta cercherò di essere più efficace. Quando uno scrive e non viene capito, la colpa è sempre di chi scrive, mai del lettore/ttrice 🙂

    Con immutato affetto

  11. *Virgh: anzi, siccome l’ho presa male -vuoi per il tipo di post, vuoi per la delicatezza che io credevo di aver dato alla scena- trovo assolutamente brutale e stereotipo pensare che se uno immagina una donna lesbica è perchè non gliela dà. Ti dirò, Virgh, e chiedo scusa se ti sentirai offesa, lo trovo anche un punto di vista pavloviano e dunque ottuso, nel senso di chiuso e narrowminded. Che poi, anche ammesso e non concesso che il mio testo si piegava ad un’interpretazione del tuo tipo -come ho scritto nel mio precedente commento la colpa è sempre di chi scrive, bisognerebbe essere sempre meno ambigui possibile, quando è necessario-, è anche vero che la tua prima interpretazione è andata in una precisa direzione.

    E qui sono io che dondolo la testa.

    Perdonerai la ‘decisione’ del mio commento, ma questo blog segue una direzione opposta al tenore delle tue osservazioni, che poi è la direzione maggioritaria della blogosfera: me la dà glielo do gliela do glielo do ce li diamo.

    Con immutato affetto

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