Hard times come again no more: il season finale di Parenthood, la serie in cui gli attori fanno quello che i personaggi chiedono
In attesa di sapere se ci sarà o meno il rinnovo per una terza stagione di Parenthood (dati i precedenti, arriverà tra cinque minuti), facciamo il punto della situazione:
2×22: Hard times come again no more, ovvero: Lauren Graham non fare accussì che you make me cry.
Di Parenthood abbiamo già detto, alla fine della prima stagione, in mezzo alla seconda. La migliore serie della serie “Scusa, non volevo” “No scusa tu, non volevo io“, con il plus di quelle meravigliose scene in cui tutti parlano addosso a tutti, nessuno segue i turni di parola di nessuno ma lo spettatore capisce bene lo stesso.
Jason Katims, showrunner e tante altre cose, ha fatto, fa, farà?, quel che va fatto (e anche di più) con una serie di questo tipo, relazionale. Non sono tanto importanti i colpi di plot (anche in 2×22, per esempio, sono talmente prevedibili che non può non essere una scelta voluta), quanto le reazioni dei personaggi e il modo in cui ci vengono mostrate. Sembrano questioni di lana caprina e invece no, perché Parenthood ha il raro dono di attirarti nella sua tana e convincerti a non voler più uscire.
Prova a raccontare Parenthood a qualcuno. Fatto? Ora prova a guardare Parenthood.
Visto? Che ti dicevo?
Cose che resteranno, di questa stagione e non solo:
1) Adam, Kristina, Haddie e Max. L’architrave familiare della serie, imprescindibile, generatore automatico di storie con ripercussioni anche su gli altri nuclei, punto di vista privilegiato per la chiusura di molti episodi (e anche dell’intera seconda stagione).
2) Sarah e Amber. La potenza che questi due personaggi, nelle persone di Lauren Graham e Mae Whitman, son capaci di sprigionare. Quando si prendono a male parole, quando si spintonano, quando si urlano contro, quando, semplicemente, non si capiscono, cioè sempre. Menzione speciale: Amber che si fa i trip nell’ufficio di zia Julia con quello sfigato, Amber che suona l’ukulele, Amber che fa i cruciverba con la nonna, Amber che cita Michael Cera e Scott Pilgrim di cui peraltro Mae Withman è ben informata. Insomma, si è capito che tengo per Amber?
Tutto il resto, e non solo perché qualcosa bisogna pur sceglierlo, non è essenziale in sè alla tenuta dello show, ma allo stesso tempo è un contorno che non annoia né appesantisce, tra una crisi e l’altra dei nuclei principali. Un notevole effetto di compattezza e di sinergia: gli attori sembrano riuscire a fare esattamente quel che i personaggi chiedono loro, come se quelle storie venissero raccontate per la prima volta. Forte.
Ma c’è una donna, nota per la propria inadeguatezza senza fine, che più di tutte rimarrà nei nostri domani e nei nostri persempre. Julia Braverman/Erika Christensen: grazie di esistere, tu e la tua paffuta goffaggine:
Se questa donna suscita in voi la stessa ilarità, non perdetevi questo filmato.
Letterina per la Nbc: dai su, dai, avete un sacco di soldi, The Voice sta andando benissimo, dai su, terza!, stagione!
questa foto mi fa pensare alla scena in cui sarah le fa "yes julia, do you have a question?" ahahah!
anche io adoro mae withman e lauren graham, insieme, separate, incazzate, in qualunque salsa: sono davvero spettacolari.
La cosa brutta (o forse bella) è che il season finale l'ho visto senza sapere che fosse il season finale, infatti mi pareva che andasse tutto troppo bene 🙂
Dita incrociate per il rinnovo dunque (e comunque sono definitivamente team braverman dopo l'ultima stagione di brothers & sisters 🙁 )
L'ultimo episodio mi è piaciuto ma non in maniera eccessiva…ho trovato più forte il penultimo!
Sul rinnovo della serie penso si possa essere relativamente tranquilli.Visto lo stato dei suoi ascolti, se Nbc non rinnoverà Parenthood, non so cos'altro potrà rinnovare al suo posto…
Andrea
*Grace: e non consideriamo che potrebbe persino essere un series finale evah!
*Andrea: sì il penultimo era più shocking anche per tutte le dinamiche, questo doveva chiudersi a cerchio. Per il rinnovo: infatti, dovrebbe essere nelle cose, ma questo silenzio, chissà.