Delle serie

Dicevamo.
Les Revenants, s02e01–04: certo, “senza Pirlo, Vidal e Tevez” non è facile ricominciare daccapo, specie quando “vincere è l’unica opzione da queste parti”. L’intervallo produttivo di tre anni sta complicando parecchio la ricezione, almeno qui in Francia: troppe abitudini (altrove) cotte, mangiate e consolidate. Fabrice Gobert ha dichiarato che la seconda stagione chiuderà il racconto iniziato con la prima (e ogni giudizio non può prescindere da questa considerazione). Non esclude una terza serie, e a priori neanche una virata antologica, come la scellerata deriva americana degli ultimi anni (Victor-o-come-cazzo-ti-chiami: nel caso, sai quello che devi fare). I conti li faremo alla fine, ma intanto la capacità di restituire allo spettatore un intero mondo con un solo quadro (o linea di sceneggiatura, o nota, o lampione fulminato) continua a raggiungere vette finora mai raggiunte da questo lato dell’Atlantico: gli ultimi cinque minuti del terzo episodio fermano i cuori dei giusti, nel tempo sospeso che si fa unica cosa, dentro e fuori lo schermo.

Kim

Fear the walking dead, stagione 1: invece di pensare a come far smettere di piangere noi inconsolabili orfani di BB e MM, Amc ci propina questo spin-off/prequel/je-sais-pas-quoi, l’unica serie con lo spoiler incorporato (“Non importa come muori, tanto poi resusciti e sei uno zombie” “Uhm, hai provato con gli antibiotici?”) grazie al titolo-madre il cui picco emotivo di cinque stagioni, ricordiamolo, è “Rick si sta facendo la barba oh oh oh”. L’unico vero motivo per approcciarsi a Fear the Walking Dead si chiama Kim Dickens, ovvero l’attrice con il miglior curriculum ever (più o meno protagonista del quasi-meglio dell’ultimo decennio: Lost, Treme, Deadwood, Sons of anarchy, Friday Night Lights, House of cards). Kim, ti seguirei fino in capo al mondo, e mi farei pure tutti gli oceani a nuoto per te (spoiler? Spoiler) ma per la seconda, marittima stagione di FTWD mi raccomando: finitela di pescare dalla mia playlist Pezzi Struggenti (rovinarmi gli Antlers era proprio necessario, eh, maledetti?) per indurre lacrime che tanto non vi regalerò mai. Pensate piuttosto a un bel crossover con The Last Ship. Eric Dane vi sta già scrutando dal binocolo con quell’espressione un po’ così che abbiamo noi quando non sappiamo che pesci prendere.

Margo

The Good Wife, s07e01: i veri amici sono quelli che non fanno giochetti con le spuntine azzurre di whatsapp e che, soprattutto, ti dicono le cose in faccia. Stima sì, pigghiatina pi’ fissa no. Se fosse ancora tra noi, TFM avrebbe già fatto una serie di post polemici su come “La Mia Serie Drama Non Cable Favorita ha gestito in modo ridicolo il personaggio di Kalinda nelle ultime tre stagioni con particolare riferimento alla sua uscita di scena: not cool”. Ma TFM ormai fa l’eremita e l’autunno, si sa, è fatto per ripartire da zero: si cambia casa, si trovano nuovi lavori con pagamenti a mille giorni a partire dal 2018, e gli amici, quelli veri, basta un sorriso e dove eravamo rimasti. Guardare The Good Wife ormai è diventato come andare nel solito localino rive droite dove fanno la solita musica jazz che ti piace tanto: l’aria è sempre la stessa ma lo stupore, la pienezza e i “se rinasco voglio essere uno dei coniugi King” non cessano mai di lasciarci come se non fosse stato mai amore. Aggiungi poi la Fuoriclasse Non Protagonista Per Eccellenza Margo Martindale (chi ha detto spia russa?) ed eccoci a cantare quel motivetto che ci piace tanto e che fa dudududù: non ce n’è per nessuno.

Shondaland

Shondaland, s12+s05+s02: mentre Viola Davis le dedicava il commovente-e-giusto discorso agli Emmy, e mentre una certa Oprah la osannava, chissà se la nostra Shondona (che intanto faceva la ritrosa spostando i riflettori sulla vera capostipite di “tutte noi”: Debbie Allen ovvero, e per sempre, la signorina Grant di Saranno Famosi), ha finalmente sentito di avercela fatta, a dispetto di tutte le difficoltà, i pregiudizi, la fatica e i “sei solo una stronza tu ci godi a far morire male i nostri personaggi preferiti”. Di sicuro, dopo molte battaglie, l’Emmy è arrivato per la più fragile tra le serie della ditta, famosa finora per aver portato in prima serata sulla Abc cunnilingui e rimming più o meno espliciti e per la famosa scena del “Attenti che ora mi tolgo la parrucca: si capisce che sono un personaggio complicato?” (idea peraltro avuta dalla stessa Viola Davis: Shondy e tu dov’eri, eh?). How to get away with murder è tornato con un previously quasi più lungo della puntata stessa (boring + boring) e con l’ennesima sequenza di stucchevoli colpi di scena a ripetizione: per carità, ritmo alto, gente che balla molto bene e che esplora ancora meglio “la propria metà del cielo”, ma anche un latte alle ginocchia che al secondo episodio non promette niente di buono. La stessa girandola che rischia (rischia?) di indebolire Scandal, generatore automatico di plot come ce ne sono pochi in circolazione, capace di bruciare in mezza puntata materiale che altri (Kim no, tu non c’entri niente) non useranno mai, manco, ehm, morti. Scandal continua a flirtare pericolosamente con l’aucombustione a furia di “Ciao, io sono TUO PADRE” “Aspè, ma non eri MIA MADRE?” e tiki-taka sentimentali che sballottano Olivia Pope tra scemo e più scemo: va bene il possesso palla, ma poi ci vogliono i Lewandowski o non vincerai mai niente. Alla fine l’usato sicuro di Grey’s Anatomy porta ancora a casa ratings onorevoli, compito tutto sommato non difficile quando hai alle spalle la solidità di un genere come il drama-hospital che ti permette di cambiare tono, registro e ritmo a piacimento. Fatte le debite proporzioni, GA sta ripercorrendo le orme di E.R., che chiuse alla quindicesima stagione ma sarebbe potuto andare avanti, uhm, per sempre. Non so se sarà questo il caso, ma di sicuro so che la nostra Shondona ha già scritto di suo pugno Lo Scenone Finale: “Dunque, in un casolare abbandonato ci sono Meredith, Olivia e Annalise legate, imbavagliate e terrorizzate. A un certo punto si apre la porta, lo psicopatico si toglie la maschera e…”.
Alla prossima.

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