Inside Man – Spike Lee

So che appena finirete di leggere questa frase la vostra vita sarà cambiata, comunque vi comunico che SpikeLee è tornato. Dopo l’obbrobbrio di “Lei mi odia” (dove c’è Bellucci c’è casa), ecco InsideMan. Ed ecco il vecchio caro Spike che tutti (o quasi) conoscevamo: inquadrature piene di senso (dalla prima all’ultima), dialoghi superbi (ecco come si scrive un film, cari miei!), ironia lancinante, il razzismo rovesciato (da chi meno/più, te l’aspetti).

Plot: una banda di rapinatori irrompe in una banca di New York, prendendo in ostaggio una cinquantina di persone. Segue l’immancabile trattativa con l’immancabile detective (DenzelPerQuestaVoltaIngrassatoDiVentiChili) cui si unisce una cazzuta intermediatrice (JodiePerQuestaVoltaBiondaFoster). Fin qui tutto regolare. Ma, ovviamente c’è un ma. C’è qualcosa che non torna (nella trama, ovvio, mica è così scontato). Con la scusa di questo gruppo di rapinatori, peraltro atipici (e il cui capo è CliveQuestaFacciaNonMiE’NuovaOwen), il piccolo Spike prende un bel carrettino di luoghi comuni e li riscrive a modo suo: realtà e apparenza si fondono (chi tiene in ostaggio chi?) in un continuo gioco di specchi. Non importa come andrà a finire, se vincerà la polizia o i criminali, importa che tutti rimangano con un gran bel sorriso stampato in faccia. Fino al prossimo ricatto.InsideMan: come realizzare un film su commissione (in principio doveva dirigerlo RickyCunningam) e non sembrarlo. Voto: molto alto.

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