Alice guarda i gatti

Ero rimasto a “Wish you were here” chitarra e voce, note limpide che si libravano nell’aria nemmeno troppo stantia di Tothenam Court Road, destinazione qualsiasi. Londra, dunque, e poi anche Parigi, ma non ricordo il titolo di quella canzone, anche se ce l’ho ancora in testa. Differenti gradazioni esistenziali. Così oggi, stupore maximo, tra Colosseo e Circo Massimo, dentro i vagoni della metro, quando un dignitosissimo menestrello si piazza con garbo in un angolo, attacca la sua chitarra, spiazzando decine di facce anestetizzate dalle solite fisarmoniche e violini di gitani disperati. “Alice guarda i gatti, e i gatti muoiono nel sole”, all’improvviso, e poi ancora Dalla, mentre la voce non dotata -chissenefrega- ma sincera smaschera l’enorme tristezza di vite in transito da una stanchezza all’altra. E così sollevo gli occhi dal mio libro, senza fastidio, stavolta, osservo questo tipo brizzolato che fa di tutto per non disturbare. Sorrido, e canticchio, siamo in quattro, a riconoscerci, a provare lo smarcamento dal vuoto alienante degli altri, quelli che rimangono fissi nel nulla, quelli che fingono di non rimanere coinvolti da quest’attimo magico, quelli che fanno di tutto per non rimanerne impelagati, chè tra cinque minuti tutto finisce e si torna allo schifo di prima, e quindi tanto vale ignorarlo, non permettergli di inserirsi come in un virus e sabotare. Devo scendere, è tardi, non vorrei, lo ringrazio -niente parole, sarebbero di troppo- e già mi affaccio all’aria umidiccia di pioggia e avverto un fottutissimo bisogno di mandare tutto affanculo, esitare, fermarmi e: piangere, mentre vorrei inciampare e saltare e ritrovarmi non so quando non so come non so dove.

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